Gian Antonio Stella: Il discorso di Veltroni. Il nuovo puzzle delle citazioni

03 Luglio 2007
Se sarà un po’ più rosso o un po’ più bianco, un po’ più aperto o un po’ più chiuso, un po’ più rock o un po’ più lento, si vedrà. Quel che è sicuro è che il nuovo Partito democratico, in questo Paese timoroso nei confronti di jettatori, menagrami e ‟schiattamuorti”, nasce (evviva) senza fisime superstiziose. Manco il tempo che Walter Veltroni finisse il suo appassionato e fluviale discorso ed è infatti partita, sia pure nella versione inglese, una musica struggente: ‟Si è spenta già la luceee...”. Valla a trovare, una colonna sonora per una nuova forza politica che ha l’ambizione di essere insieme erede di De Gasperi e Togliatti, Rosselli e Parri e un mucchio di altri padri e madri, zii e prozie. ‟Mira il tuo popolo”? Figurarsi. ‟L’Internazionale?”. Neanche. ‟Bandiera rossa”? Per carità! ‟Biancofiore / simbolo d’amore”? Manco a parlarne. Solo un uomo potrebbe scriverlo, il nuovo inno ecumenico: l’‟ancora giovane Walter”. Il quale, sfidando il torrido caldo sahariano della Sala Gialla del Lingotto, i rigagnoli di sudore nel colletto e le battute sulla definizione di Fassino (‟di tutti noi Veltroni è il più fresco”), ha riassunto in cento minuti di discorso la sintesi di quel che sarà, questo Pd. Direte che una sintesi di un’ora e quaranta è assai poco sintetica. Difficile darvi torto. Giovanni XXIII riuscì ad aprire il Concilio Vaticano II con una prolusione di 37 minuti. La dichiarazione d’indipendenza americana richiese 1.374 parole. E il ‟Manifesto del partito comunista” 10.668: un migliaio in meno di quelle spese ieri dal sindaco di Roma per accettare la candidatura a guidare il nuovo partito. Ma lì, appunto, c’era da teorizzare uno schema solo. Qui, il nuovo leader doveva metterne insieme due, tre, quattro. Sorridere alla Chiesa e rivendicare la laicità dello Stato, riconoscere i valori del Family Day e ricordare i diritti dei gay, scuotere il grande popolo di sinistra intorno alla ‟lotta contro la precarietà” e rendere omaggio a Massimo D’Antona e Marco Biagi, a lungo bollati dalla sinistra, anche quella lontanissima dai fanatismi brigatisti, come uomini ‟oggettivamente” al servizio del libero mercato e quindi del ‟nemico”. A farla corta, il contesto si prestava a un aggiornamento dell’adagio del vecchio Ruggero Bauli il quale, a chi gli chiedeva quale fosse la ricetta del ‟Pandoro”, rispondeva: ‟Un po’ più, un po’ meno, un po’ prima, un po’ dopo”. I giudizi sprezzanti arrivati da destra (Margherita Boniver: ‟La platea si è scaldata solo sui concetti copiati da Berlusconi”) o da sinistra (Cesare Salvi: ‟Un discorso ideologicamente vecchio” e ‟blairista mentre Blair sta uscendo di scena”) sono però frettolosi. E non vedono, nel lungo lungo discorso veltroniano, un tentativo che dovrebbe interessare sia la destra sia la sinistra radicale: quello di ridisegnare una sinistra moderna. Europea. ‟Moderata”, come dice (un po’ schifato, lui) Franco Giordano. Interessata a trovare nuove parole d’ordine. A liberarsi di certi schemini vecchi e imbolsiti. E qui Veltroni, al di là delle facili ironie sulle scelte ‟veltroniane” di schierare in prima fila suor Giuliana del Cottolengo o far tradurre in simultanea il suo discorso per i sordomuti (polically correct: audiolesi) e dedicare la prima citazione a De Gasperi riconoscendo ‟quanta strada è stata fatta” nel dopoguerra, ha detto davvero alcune cose che non piaceranno per niente a un pezzo di sinistra. Quella rissosa, attaccabrighe e convinta come era anni fa Fausto Bertinotti che ‟i governi migliori sono quelli terremotati” e sottoposti ‟a torsione”. La prima è stata, appunto, l’inchino non solo a D’Antona ma anche a Marco Biagi, con una bocciatura dell’idea di cancellare tout-court la legge che porta il suo nome come altre fatte dal Polo: ‟Non è possibile che tutto ciò che è stato fatto da chi c’era prima di te, se era dello schieramento avverso, sia sempre sbagliato”. La seconda, con un’implicita censura al manifesto rifondarolo che strillava ‟anche i ricchi piangano”, è stata una citazione di Olof Palme: ‟La battaglia non è contro la ricchezza, ma contro la povertà”. La terza la proposta, poco gradita ai duri e puri, di spalancare il mercato immobiliare tassando i canoni solo al 20%, almeno per chi affitta alle giovani coppie e agli studenti, ‟poi si vedrà”. La botta più dura, però, come dimostrerà la gelida assenza per ore e ore di repliche da parte dei leader confederali, è ai sindacati. Aggiunta a mano, fuori dal testo ufficiale scritto. Testuale: ‟Il sindacato non deve tutelare solo i pensionati o coloro che hanno già un posto di lavoro, ma deve saper tutelare anche i giovani che faticano ad entrare nel mondo del lavoro”. E via così. Contro i ‟signornò”: ‟Non si può dire no all’alta velocità se poi l’alternativa è il traffico che inquina. Non si può dire di no al ciclo di smaltimento dei rifiuti moderno ed ecologicamente compatibile e lasciare che l’unica alternativa siano discariche a cielo aperto ed aria irrespirabile e nociva”. Contro i demagoghi: ‟Non è con gli odi di classe che si sconfigge l’evasione. Occorre bandire ogni atteggiamento classista, considerando ugualmente esecrabili un imprenditore che evade le tasse e un dipendente pubblico che percepisce lo stipendio e non lavora”. Contro i costi eccessivi della politica: ‟Chi critica sprechi e irrazionalità e chiede alla politica sobrietà e rigore, non coltiva l’antipolitica, dice qualcosa di giusto. La politica deve essere sobria”. Contro chi vuole la politica dello scontro: ‟Basta. Dobbiamo farla finita con lo scontro feroce e con i veleni, con le polemiche che diventano insulto”. E via così. A proposito: Berlusconi? Sette anni fa, proprio qui, al Lingotto, dopo aver tentato inutilmente di scaldare i cuori con Lumumba, i boat-people, la fame nel mondo, i fratelli Cervi e la sedia elettrica, era riuscito a strappare un diluvio di applausi attaccando il Cavaliere. Stavolta no: mai nominato. E l’Africa? Non aveva detto che ‟dopo 50 anni la vita va reimpostata” e che dopo aver lasciato il Campidoglio voleva dedicarsi ‟alla questione dell’Africa”? C’è tempo, c’è tempo...

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …