Giorgio Bocca: Tragedia di San Giuliano. Quelle lacrime senza risposta

16 Luglio 2007
Tutti assolti. Nella tragedia di San Giuliano di Puglia, in Molise, non c’è nessun colpevole. O meglio, ce n’è uno solo, il terremoto. Il terrore arrivato dal sottosuolo, nell’ottobre di cinque anni fa, quando il sisma dell’ottavo grado della scala Mercalli si accanì su una via del villaggio, abbattendo una quinta di case fra cui una scuola. Sotto le macerie rimasero una sessantina di bambini e una decina tra insegnanti e bidelli. Alla fine il solito, tragico bilancio dei morti: ventisette bimbi e una maestra. Su quella tragedia, allora, pesò la confusione babelica dei linguaggi e delle idee: attorno alle bare delle vittime si alzò il grande lamento, la grande invettiva contro chi ha permesso la strage degli innocenti. Fu aperta un’inchiesta dal Tribunale di Larino, per accertare le responsabilità nella costruzione della scuola, crollata come fosse di cartone. Ora la sentenza è arrivata: i sei imputati, accusati dei reati di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni, sono stati assolti. La formula è quella di sempre, in casi come questi: ‟Il fatto non sussiste”. Capiamo le scene di rabbia che si sono scatenate alla lettura della pronuncia: ‟Ce li avete ammazzati due volte!” hanno gridato i familiari di quelle piccole vittime innocenti. Ma oggi non possiamo non ripetere il giudizio di allora. Siamo seri: colpevole è questa società. Colpevoli, ancora una volta, sono le più alte autorità dello Stato, che allora accorsero alla cerimonia funebre e poi sono scomparse. Colpevoli, ancora una volta, sono anche i milioni di italiani che in quei giorni parteciparono al lutto. Colpevole, ancora una volta, è un intero paese dove i governi hanno ceduto alla demagogia, alla morale del permissivismo, dei condoni, al disprezzo per la giustizia. Colpevoli, cattivi sopravvissuti agli angeli di San Giuliano, sono ancora una volta i cittadini del paese Italia, così come si è costruito in questi anni di sviluppo caotico: lungo tutti i fiumi e torrenti, le fasce di esondazione - dove le acque alluvionali possono trovare sbocco - sono state riempite di case e di fabbriche, che amministratori opportunisti hanno tollerato; alla prima pioggia battente villaggi e città si ritrovano allagati per via della cementificazione del territorio. Quante case sono pericolanti, a rischio? Più di una scuola su due, all’epoca dei fatti, non aveva neanche passato i controlli sulla staticità. In quei giorni di tragedia del 2002 le alte cariche dello Stato si precipitarono in Molise. Il capo del governo accorse sul luogo del disastro e promise aiuti immediati: Berlusconi, con la megalomania che gli è propria, voleva addirittura sostituire i villaggi terremotati con una sua replica di Milano 2, villette immerse nel verde, piste ciclabili, centri commerciali, benessere e svaghi, instancabile nell’ignoranza del paese che governava, nel confondere la povertà senza fine del Mezzogiorno con il ricco hinterland milanese. E disse di averne già discusso con il suo architetto e con il ministro Lunardi, quello delle grandi opere, specialista in gallerie. Ma da allora niente è più successo. Ormai il Paese, tra dissesti idrogeologici e montagne di rifiuti, è attraversato da una frana generale, da una somma di errori e di emergenze che non si riescono più a tamponare. Dopo la prima sanatoria agli abusi edilizi del 1994, sono stati costruiti solo in Sicilia altri quindicimila edifici abusivi. Dagli anni Ottanta gli abusi nel paese sono diventati cinque milioni. La cementificazione delle coste sta divorando la Sardegna attorno a capo Teulada, la laguna di Caorle, a Castelvetrano le villette abusive sono diecimila. A Gela hanno costruito tre palazzi sopra il collettore fognario. Le case a rischio, tirate su con l’argilla e con la sabbia, sono a migliaia in tutto il Mezzogiorno, negli stessi luoghi dove i terremoti del passato hanno mietuto migliaia di vittime. Le cronache dalle terre del Molise sono commoventi oggi, come lo furono allora. Ma sono anche dense di frustrazioni: si è ripetuta con larghezza di mezzi la ritualità del dolore, delle lacrime dei potenti, della disperazione dei parenti, che ieri si è rinnovata ancora una volta. Come scrivemmo allora, ci fu un tempo in cui le tragedie dell’Italia povera toccavano l’intero paese, creavano delle solidarietà vere. Oggi dietro queste tragedie non si può non vedere il dilagare della corruzione e dell’anarchia che dalle classi alte si è allargata al ceto medio indeterminato. Resta il pianto vero per chi ha perso i suoi figli, e il pianto greco per tutti gli altri.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …