Gian Antonio Stella: “Sono affari loro”. Nessuno controlla le spese dei gruppi parlamentari

20 Luglio 2007
‟Affari loro”. È questa, nella sostanza, la risposta che il presidente di Palazzo Madama Franco Marini ha dato al senatore di An Antonio Paravia. Che voleva sapere com’è possibile che i soldi dati ai gruppi parlamentari per la loro attività istituzionale siano spesi senza dover rendere conto a nessuno. Sono o non sono soldi pubblici? Al centro della questione, la vicenda dell’ex senatore Luigi Malabarba. Milanese, operaio e sindacalista Alfa Romeo, trotzkista, capogruppo del partito di Bertinotti nella scorsa legislatura, era tornato sui banchi della camera alta nell’aprile dell’anno scorso con posizioni sempre più radicali. Critico sulla scelta di non candidare Marco Ferrando. Riottoso davanti alla scelta di Rifondazione d’entrare (‟Avere ministri significa essere in gabbia, servirebbe a tener calmi i lavoratori”) nel secondo governo Prodi. Recalcitrante all’idea di votare la fiducia sul rifinanziamento delle missioni italiane: ‟Non ci sto alla pistola puntata alla tempia”. Convinto che il ‟suo” governo con le leggi varate da Berlusconi, alcune delle quali secondo lo stesso Walter Veltroni sono condivisibili, dovesse fare una cosa sola: ‟Abroghiamole tutte”. Una posizione così quotidianamente scomoda che a un certo punto, quando il Senato si era deciso ad accettare le sue dimissioni nel novembre scorso, avevano tirato un sospiro di sollievo sia lui sia il partito. Lui, dicendo che finalmente poteva realizzare la promessa di cedere il posto a Haidi Gaggio Giuliani, la mamma di Carlo, ucciso negli scontri durante il G8 genovese. Il partito perché, come aveva sentenziato il capogruppo Giovanni Russo Spena, Malabarba aveva ‟fornito un esempio eloquente di cosa si intenda per riforma della politica”. Traduzione: ecco uno che dimostrava di non essere attaccato alla poltrona. ‟Ho fatto sempre l’operaio e volentieri torno insieme ai miei compagni di lavoro”, aveva confermato lui, ‟Anche se non torno in fabbrica perché intanto me l’hanno chiusa”. Evviva. Qualche tempo dopo, però, era saltato fuori che mentre tornava ‟in mezzo alla gente” Malabarba aveva stretto con Russo Spena un accordo, secondo l’Espresso, ‟per garantirsi un vitalizio senatoriale più ricco e il pagamento di un debito con l’Inps. Per tutta la durata della legislatura venivano infatti garantiti a Malabarba, a titolo di rimborso spese, 3.500 euro netti al mese, per 15 mensilità, coi quali l’ex parlamentare avrebbe potuto fra l’altro rimpolpare il suo vitalizio e saldare il debito Inps”. Insomma: una buonuscita? No, no, si era affrettata a precisare Rifondazione in una lettera a Marini: ‟Lo stesso Malabarba ha dichiarato in aula: ‘Si tratta di dimissioni volontarie’‟. Fatto sta che al tesoriere del partito la cosa non era andata giù. E, come avrebbe confermato Russo Spena al presidente del Senato, prima ‟fu proposto a Malabarba un contratto di lavoro presso la direzione” del partito, poi, visto che ‟minacciava di far ricorso a vie legali”, il partito aveva ‟scelto di chiudere ogni tipo di contenzioso con la cifra di 110 mila euro in un’unica soluzione versata dal partito”. Scusate tanto, chiede da allora il senatore Paravia, ‟ma con che soldi”? Pagati come? Denunciati tutti ai fini del fisco e dei contributi previdenziali? Non sarebbe opportuno che ‟il bilancio del Senato contenesse quello dei Gruppi”? Finora, nessuna risposta. O meglio, ha risposto il solo Marini. Spiegando che ‟una volta assicurate le risorse finanziarie e tecniche, il Senato si ferma sulla soglia dell’autonomia istituzionale dei gruppi, restando preclusa ogni attività di controllo e vigilanza”. Riassunto: i soldi ai gruppi (quasi 19 milioni di euro nel 2006) sono pubblici. Ma come li spendono sono affari loro. E nessuno ci può mettere il naso.

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …