Giorgio Bocca: Dalle valli alpine una lezione di civiltà

31 Agosto 2007
Nelle nostre valli alpine sono in corso i grandi riti ancestrali in memoria delle grandi miserie patite, dei pantagruelici banchetti desiderati, dei convivi barbari in cui il rosso del vino si mescolava al rosso del sangue. Ogni sera puntualmente ai telegiornali valligiani appaiono le cronache delle colossali mangiate rievocatrici delle lunghe fami, degli interminabili risparmi, delle leggendarie avarizie.
Dalla Valpelline arrivano le immagini della zuppa valpellinenze gigante, 300 porzioni di zuppa distribuite in piazza ai locali e ai turisti. Le telecamere che passano da una tavolata di valdostani arrivati da Parigi che hanno doppia fame arretrata, quella che i loro avi hanno fatto in valle e quella che i loro nonni o bisnonni hanno fatto in Francia ai tempi delle emigrazioni.
Ogni tanto si alzano dai tavoli per andare nelle cucine a vedere come miracolosamente rinasce in abbondanze mai viste la seuppa, la zuppa di brodo, pane, fontina e cavoli, "moltissimi cavoli" raccomanda il cuoco etologo, e "del nostro buon brodo valdostano", perché nei pranzi delle rimembranze popolari il pane, la fontina, i cavoli hanno la bontà inimitabile dei ricordi familiari e paesani, un brodo così non è fatto solo di carne e di acqua, ma della vita povera che si è fatta, dei dialetti che si sono parlati.
I cuochi affettano porzioni enormi di valpellinenze con la crosta bianca oro della fontina fusa con i cavoli bolliti e intanto sulle strade delle valli alpine, nelle gran ferie di agosto passano gli altri cortei festanti e affamati di memorie verso le feste agostane delle polente taragne, delle salsiccie cotte nel vino, delle torte di verdure al formaggio puzzone. E intorno a queste sagre e feste padronali, e pro loco, c'è tutta una intesa rinascita di civiltà contadina, una civiltà in cui automobili e ortaggi e cibi e fami arretrate e pranzi di nozze senza fine dominano, mescolando i loro millenni passati alla modernità. Conosco bene il Piemonte alpino e la Valtellina, e la nuova civiltà dei formaggi e delle automobili, dei vini e dei meccanici. L'agricoltura che sembrava morta, i contadini che sembravano scomparsi nelle grandi fabbriche cittadine dopo pochi decenni di sradicamento, di lavori servili, di rassegnata offerta di forza lavoro alla modernità cittadina, hanno rimesso in moto un loro nuovo modo di produrre e di distribuire.
In provincia di Cuneo sono nati i frutteti industriali che producono in serie e i loro coltivatori diretti, le decine di migliaia che coltivano le fragole o i lamponi o i peperoni o fanno i formaggi. E tutti lavorano con i loro automezzi e hanno rifatto la casa e vanno in vacanza a Rimini o a Laigueglia e comunque si sono rilanciati nella vita sociale e se non hanno inventato la felicità, hanno però recuperato moltissimo di antico. Hanno ritrovato le loro radici, sono tornati a essere popolo libero, padrone della sua vita, gente di campagna più civile e libera e autonoma di quella di città.
Non c'è più povertà nelle campagne che conosco, sono lontani i tempi in cui i contadini emigravano per 'terre assai lontane' nelle valli in cui si viveva di polenta e di erbe di campo. Ora la domenica i contadini vanno a pranzo in trattoria. È Francia, è Svizzera anche nelle nostre terre.
C'è il rischio che questa nuova Italia contadina persi i suoi modelli, i suoi bisogni, le sue speranze pauperistiche sia politicamente confusa, scambi il populismo dei nuovi demagoghi per libertà e progresso, voti per la Lega o per Berlusconi. Ma non importa, conta che ha superato gli anni dell'abbandono e della rassegnazione, conta che sia ancora padrona di una terra che la fa vivere.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …