Vittorio Zucconi: Putin e le armi atomiche. C’è aria di guerra fredda

22 Ottobre 2007
Sarà anche una nuova Guerra Fredda con Mosca, insieme con la guerra calda che continuerà a tenere inchiodati in Iraq 100 mila giovani americani, l’eredità che George W. Bush lascerà al successore? Le risposte balbettanti ed evasive che sono venute da lui stesso in conferenza stampa mercoledì, e ieri dalla sua portavoce, alle bordate di Vladimir Putin, al bubbone curdo che sta gonfiandosi in Asia Minore e alla plateale irritazione della Cina all’incontro con il Dalai Lama, segnalano la difficoltà, e l’impreparazione, con la quale questa Casa Bianca affronta l’ultimo anno di presidenza Bush e le conseguenze, al solito non previste, delle proprie azioni. ‟Non è vero che in Iraq ci siamo cacciati in un vicolo cielo”, che è l’espressione usata da Putin, ‟in Iraq le cose vanno meglio”, ha risposto piccata la portavoce Dana Perino. Quanto al minacciato riarmo atomico, il capo del Pentagono Robert Gates resta fedele all’ordine di minimizzare: ‟Non mi allarma. È l’affermazione che la Russia è tornata, intende giocare un ruolo importante sullo scenario mondiale e vuol essere presa seriamente”. Tanto più, visto che ‟negli anni Novanta l’apparato militare russo era quasi inerte”. Un po’poco, questa ripetizione della formula della propaganda ufficiale, in risposta alle minacce, alla frasi roboanti, agli attacchi lanciati dall’ex compagno di barbecue e di soggiorni nel Maine. Ma la evasività di questa presidenza che aveva sempre millantato la propria capacità di parlare chiaro e agire forte è la dimostrazione che Bush e i superstiti della sua amministrazione tentano di contenere i danni, di far scorrere l’orologio, come si dice nel gergo sportivo, prima di passare la mano e di non esacerbare un quadro internazionale che è sfuggito dalle loro mani e sta creando una sensazione inquietante del ‟liberi tutti”. Mercoledì Bush aveva tentato di scherzare su Putin, spiegando che lui se ne andrà sul serio, a fine mandato nel gennaio 2009 e non potrà fare come il russo che sta aggirando la costituzione. Aveva incespicato sullo spinosissimo nuovo asse Teheran-Mosca, voluto da Putin per stroncare i rumori di attacco all’Iran fatti circolare da mesi a Washington, e prodotti dalla corte dell’invisibile vice Dick Cheney. Gli parlerò, sentirò da lui nel nostro prossimo incontro, aveva brontolato Bush, alludendo a una ‟Terza Guerra Mondiale” se Teheran si fosse dotata di armi nucleari. Lontani sono i tempi in cui il texano poteva dire di avere letto negli occhi del russo la personalità di un amico e oggi semmai fa ridere il senatore McCain, uno dei candidati repubblicani (senza speranza) alla successione, quando lo sfotte dicendo: ‟Anche io ho guardato Putin negli occhi e ho letto soltanto tre lettere: K, G e B”. Il Presidente russo può addirittura permettersi di far fare anticamera per 30 minuti, un’eternità nel protocollo diplomatico, a Condi Rice e Robert Gates, volati a Mosca in settembre per tentare di rappezzare e chiarire. Uno sgarbo che Washington ha incassato senza un pigolio. Ma questo Presidente ormai irrilevante in casa, dove per avere l’impressione di contare ancora qualcosa è costretto a porre il veto all’estensione della sanità pubblica a 4 milioni di bambini appoggiata dall’80 per cento degli americani, non può permettersi di rispondere colpo su colpe alle sparate e ai sarcarsmi di un Putin sempre più arrogante. Non può stoppare la Turchia nei suoi progetti di repressione dell’irredentismo curdo, di dire chiaramente alla Cina che un capo di stato americano può ricevere chi vuole quando vuole, senza chiedere il permesso a Pechino e senza nascondersi dietro il pretesto della ‟libertà religiosa”, come se l’oppressione e l’annessione del Tibet fossero una questione mistica. Bush non fa più paura a nessuno, né fuori casa, né in casa, dove l’opposizione democratica è stata cinicamente ben felice di lasciargli il diritto di veto sull’assicurazione sanitaria ai bambini, che, soprattutto Hillary Clinton, sfrutterà durante la campagna elettorale. Il prestigio diplomatico e politico di questa presidenza è sprofondato a fondali mai toccati dai tempi disastrosi della presidenza Carter, né Bush avrà la forza e l’autorità per tentare quell’assalto finale alla pace fra israeliani e palestinesi, nel quale Clinton buttò, senza successo, gli ultimi mesi della sua tormentata avventura. Le forze armate sono spalmate in Iraq e Afghanistan, dove il Pentagono deve offrire 35 mila dollari di bonus agli ufficiali perché non se ne vadano a fine contratto. Per questo ‟il politico più potente del mondo”, oggi impotente, deve abbozzare, incassare, schivare le insolenze e le fanfaronate russe, per non peggiorare la situazione quando Putin, l’uomo della Cecenia, si permette di dargli lezioni di strategia ammonendo che il problema Iran ‟non si risolve con minacce, sanzioni o armi”. Questa fine 2007, e il vicino 2008, sarebbero dovuti essere il tempo della raccolta, i mesi nei quali le chimere dei neocon, gli immensi sacrifici militari e finanziari, la ‟dottrina Bush” avrebbero dovuto produrre i frutti irresistibili della democrazia in Medio Oriente e nel resto del mondo mussulmano. Quello che Washington sta raccogliendo è invece il vento di una nuova guerra fredda e la misera consolazione di sapere che in Iraq, dopo quattro anni e mezzo di guerra, ci si ammazza forse un po’meno e le cose ‟vanno meglio”.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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