Cacciatore di parole. Incontro con Richard Ford

05 Dicembre 2007
A Edimburgo è un pomeriggio di sole, e lo scrittore Richard Ford, vincitore del Premio Pulitzer, sfoggia un maglione rosso porpora, un’immacolata camicia bianca e pantaloni dai quali spuntano calze eleganti. Non ci sono pericoli, quindi, che possa essere identificato con il suo personaggio, Frank Bascombe, che per tutta la sua lunga esistenza letteraria ha sempre indossato gli stessi abiti trasandati, scelti - dai mocassini ai calzoni - sui cataloghi di vendita per corrispondenza. Con The Lay of the Land, pubblicato l’anno scorso, Ford ha completato la trilogia su Bascombe, ex giornalista sportivo diventato poi agente immobiliare, l’uomo qualunque più convincente della letteratura americana. Il lavoro più recente di Ford, una nuova edizione del Granta Book of the American Short Story, è uscito da poco. Il suo eloquio è elegante: Ford parla con la precisione di quell’accento del sud che fa sentire bene la punteggiatura. La sua sensibilità per i ritmi della lingua è forse il solo aspetto per cui Ford, nato nel 1944 a Jackson, Mississippi, potrebbe essere definito uno scrittore del sud, etichetta che non si è mai attribuita. Quando scrive lavora sui paragrafi, spostando le virgole avanti e indietro, verificando ogni volta il ritmo: ‟A volte ho una frase, ma non ho la parola giusta da mettere a metà. Cerco una parola che abbia il suono di una ‘a’ lunga e tre consonanti”. Il risultato sembra ottenuto senza sforzo, ma non è così. ‟Scrivere non è un atto spontaneo - dice - comporta una buona dose di travaglio”, e questa è una delle ragioni per cui raramente ha parlato di alcune componenti della sua vita - per esempio della caccia e della pesca - che preferisce limitarsi a fare: ‟Se scrivessi di queste cose, dovrei pensarci e ripensarci all’infinito”. È dislessico, e per questo crede di avere bisogno di concentrarsi in maniera particolare. ‟Devo lavorare per far maturare nella mia mente le cose che sento, e anche le cose che leggo, altrimenti mi passano davanti in modo confuso. Ho un buon orecchio, con il tempo ho imparato a fare molta attenzione a come le persone scelgono le parole, alla musica della loro voce: questo mi aiuta”.
Nel loro insieme, i romanzi di Bascombe - Sportswriter, Il giorno dell’indipendenza, The Lay of the Land - come quelli di Updike in cui c’è Rabbit, o quelli di Philip Roth con Zuckerman, costituiscono un profondo scavo sul personaggio. Frank - amaro e dolce, sensibile ma ottuso - è sempre soltanto, con insistenza, se stesso, anche se i libri che lo contengono sono cambiati, crescendo in lunghezza e complessità. Frank ha una coerenza tutta sua, il suo creatore, però, non crede al concetto di personaggio, sia che venga applicato a quel che lui definisce ‟quel fascicolo di parole chiamato Frank Bascombe” sia che venga applicato a noi esseri umani. ‟Dopo aver passato 40 anni della mia vita a costruire personaggi e a renderli coerenti, convincenti e plausibili, sono arrivato alla conclusione che costruire un personaggio è probabilmente quel che facciamo anche su noi stessi: l’idea del personaggio è solo una comodità”, dice Ford. Nel caso di Frank, è piuttosto una scomodità. Nonostante sia middle-class, di mezz’età, maschio e americano, Frank è disperatamente sfortunato. Anche nelle prime vicende di Sportswriter (1986), la vita di Frank non è piena di successi: suo figlio è morto, le aspirazioni letterarie falliscono e il suo matrimonio va in pezzi. Le sue certezze di giornalista sportivo cominciano a vacillare, la sua ragazza lo trova a volte sconcertante, altre deludente. Ne Il giorno dell’indipendenza (ambientato come Sportswriter nella città fittizia, ma resa in modo perfettamente plausibile, di Haddam, New Jersey), Frank cerca di passare un’altra festa nazionale senza esercitare il suo dono di peggiorare una situazione già poco promettente. Nell’ultimo volume della trilogia Frank ha 55 anni e va a vivere in una casa sul mare, sulla costa del New Jersey. Si generano situazioni complicate sia con la sua ex moglie che con quella attuale, e lui non sta bene; come molti altri personaggi di mezz’età della letteratura americana, ha un cancro alla prostata. Tra le sue tante particolarità, The Lay of the Land è forse l’unico romanzo in cui il protagonista si debba fermare a urinare con bruciante realismo ogni venti pagine circa. Questo romanzo è più lungo dei due precedenti: ‟202.000 parole - ci tiene a precisare Ford -. Riuscirei molto meglio a sistemarne 100.000; è veramente difficile mettere al posto giusto così tante parole”.
Ford scrive racconti, oltre che romanzi, e le sue raccolte (ne ha pubblicate tre) hanno avuto anch’esse successo. Una storia tratta da Rock Springs (1987), la sua prima raccolta, è stata pubblicata nel numero del 1983 di Granta, intitolato ‟Dirty Realism”, dove compaiono anche pezzi di Donald Barthelme, Tobias Wolff e Raymond Carver (‟dirty realism - realismo sporco - si riferiva alla narrativa che parlava di ‟bevute, sradicati, disordine, guai”). Le altre due raccolte di Ford, Donne e uomini (1997) e Infiniti peccati (2002), si sono allontanate completamente da questo modello (al quale forse neanche la prima aderiva), ma fino a un certo punto l’etichetta gli è rimasta. Le origini piccolo borghesi hanno probabilmente contribuito a questo mito, come pure l’amicizia con Carver. I due si sono incontrati nel 1977 a un festival letterario a Dallas, e sono rimasti grandi amici fino alla morte di Carver nel 1988. ‟È stato un periodo ricco, allegro, impegnato, intenso, in cui non sentivamo i muri della vita, non tornavamo indietro, andavamo solo avanti” ricorda Ford in Good Raymond, il libro che rievoca la loro amicizia. Come Carver, Ford non è cresciuto in una famiglia in cui si leggevano libri. Suo padre era un agente di commercio che a volte, d’estate, portava il figlio con sé, ‟per concedere a mia madre una pausa”. Il padre è morto di infarto quando Ford aveva sedici anni, sua madre è vissuta tanto da veder pubblicati i primi due romanzi.
‟Mi incoraggiava molto - ricorda -. Leggeva dei libri, ha letto i miei, ma la sua idea su chi scriveva libri era centrata su Hemingway, Faulkner e John Hersey, autori famosi”. Da ragazzo, a quanto sembra, Ford non era un gran lettore. ‟Ci sono state delle scazzottate e qualche furto, qualche problema con la polizia di Jackson e con i giudici dei minori, qualche periodo di libertà condizionata”. Nella sua narrativa troviamo delle risse fantastiche. C’è stata molta violenza anche nella sua vita? ‟No, non molta”, risponde. Nessuna scazzottata? ‟Oh, le scazzottate!” dice divertito. ‟Quella è un’altra cosa. Ho fatto a pugni, in gioventù. Era normale”. Il ragazzo che non leggeva è andato alla Michigan State University e poi alla scuola di legge, che ha lasciato dopo un anno, quando si è trasferito a New York per andare a vivere con sua moglie, Kristina Hensley, che aveva incontrato nel 1964 e che ha sposato quattro anni dopo. Ora vive con la moglie in Maine, sul mare. Ford ha un atteggiamento pratico nei confronti del materiale che raccoglie per i suoi libri: i taccuini che contengono gli appunti su Frank sono conservati nel freezer ‟in modo che non brucino se la casa va a fuoco”. Nel freezer ci sono anche gli appunti per un romanzo che pensa di scrivere, e che ambienterebbe negli anni Sessanta in Canada. Ford pensa che il Canada abbia evitato gli errori dell’America. ‟La verità è che non si può veramente, sinceramente, responsabilmente parlare di letteratura... senza riconoscere che è solo una scoreggia nel vento in confronto al fatto che ci sono persone che muoiono per decisioni ridicole prese dagli stolti che governano il mio Paese”, dice con il tono di un uomo a cui non si vorrebbe dar fastidio in un bar. Nel suo svagato egoismo, Bascombe, come fa notare il suo creatore, riassume l’errore che Ford pensa sia stato commesso dai suoi concittadini - quello di ‟dormire al volante”. Frank può anche piacere (anche se non piace a tutti i suoi lettori), ma è colpevolmente indeterminato. ‟Io penso che tutto sia frutto di scelte, piuttosto che il prodotto di "forze" al di là del mio controllo”, dice. ‟Meglio trattare la nostra vita come se fosse un libro e noi ne fossimo gli autori”.
© Guardian News & Media 2007 (Traduzione di Maria Sepa)

Richard Ford

Richard Ford, nato nel 1944 a Jackson (Mississippi), è considerato uno dei più grandi scrittori americani contemporanei. Con Il giorno dell’Indipendenza (1995; Feltrinelli, 1996) ha vinto i due premi più prestigiosi …