Giorgio Bocca: L’America di casa nostra

18 Dicembre 2007
Com’era l’Italia degli anni ’60? Forse il paese europeo più americanizzato. Nella primavera del 1963 i nostri partiti ricorrono, per la campagna elettorale, ai maghi di Madison Avenue, il professor Richter re dei persuasori occulti scrive gli slogan della Democrazia cristiana. Si è capito che il Paese è maturo per le grandi manovre della psicologia di massa, o gli italiani sono ancora provinciali? È un’Italia americanizzata per il suo vitalismo, o un’Italia che si adatta nella way of life dei padroni? E’ difficile dirlo, non si capisce mai bene dove una cosa finisce e l’altra incomincia, si capisce solo che rispetto all’America siamo indietro e diversi. La mitologia del benessere è simile, ma le resistenze individualistiche, i rigurgiti superstiziosi, le reazioni anarcoidi sono ancora forti. Nell’Italia degli anni '60 resta il greve fardello del passato, le sedimentazioni dei secoli. Per fortuna anche un genio particolare per arrivare alla tecnica e per servirsene. In che cosa gli italiani degli anni '60 sembrano simili agli americani? Uno dei punti di somiglianza è il culto per l’automobile, se non che a guardar bene ci si accorge che anche esso è indietro e diverso, uno dei caratteri più distintivi dell’uomo-automobile italiano degli anni '60 è l’ignoranza della macchina come macchina. Su tutte le strade italiane, dal Brennero a Capo Passero s’incontrano automobili ferme con degli italiani fermi che le guardano e non capiscono: il cofano è sollevato, qualcosa fuma, l’italiano-automobile guarda il motore guasto come se fosse un alligatore. Che cosa spera da quella stupefatta e melanconica contemplazione? Per ora il suo rapporto con l’automobile ricorda ancora quello cavaliere-cavallo: un rapporto tra creature vive, quasi un rapporto di amorosi sensi, ma la macchina è un’altra cosa, che va conosciuta e dominata. L’Italia degli anni '60 paga questa ignoranza della macchina con il primato delle disgrazie automobilistiche: 114 mila incidenti e cinquemila morti nel '53, tre milioni di incidenti e novemila morti nel '62. L’italiano degli anni '60 è anche l’italiano-video, l’italiano della televisione, della democrazia televisiva. Negli anni '60 gli italiani spendono cento miliardi per gli apparecchi televisivi e il fatidico quattro novembre del '61 arriva il secondo programma, i tetti si coprono di antenne, dai 360 mila abbonati del '56 si passa ai due milioni del '60 e ai quattro del '63. La televisione è la prima vera rivoluzione del popolo italiano, essa muta i rapporti famigliari, gli orari, le visite degli amici, gli argomenti della conversazione; grazie ad essa gl’italiani abbandonano i dialetti e scoprono la lingua, si abituano a una cortesia formale del tipo ‟prego, grazie, prego”, tutti imparano a ringraziare, a chiedere permesso, ringraziano professori e generali, poliziotti e camerieri, tutti lieti che milioni di persone li ascoltino. Il conformismo televisivo influenza tutti i gusti, si va verso l’asservimento ipnotico, eppure anche in materia di televisione l’italiano è sempre indietro e diverso a paragone del suo collega anglosassone, il suo lavaggio del cervello è più recente. In Italia gli effetti della televisione, si fermano alla superficie delle coscienze. Gli anni '60 rappresentano per gli italiani anche la crisi della civiltà contadina, la fuga dalle campagne assume aspetti apocalittici, ogni minuto un contadino volta le spalle alla sua terra, dal '53 al '63 se ne sono andati un milione e mezzo. E’accaduto in altri paesi, di più antica civiltà industriale, però mai con tanto affanno e disordine. Perché nel nostro esodo si ritrovano tutte le ragionevoli ragioni degli esodi contadini, ma in più un’oscura inquietudine, un rifiuto della terra che a volte assume forme schizofreniche, ci sono province tradizionalmente agricole in cui i capitali vengono investiti in ogni impresa, salvo che nelle industrie che trasformano i prodotti agricoli, quasi si fosse deciso di rifiutare qualsiasi attività in qualche modo legata alla terra. Le valli del Piemonte perdono la metà degli abitanti, in certe valli del Cuneese lo spopolamento è del novanta per cento, nei villaggi del sud si chiudono i circoli riservati ai ‟galantuomini”, i loro figli cambiano mestiere, vendono le fattorie e vanno in città, in alcuni villaggi i proprietari di uliveti devono reclutare gli zingari per la raccolta delle olive. L’emigrazione nell’Europa del nord tocca punte altissime, alcuni aspiranti deputati del sud devono fare la campagna elettorale a Dusseldorf, Essen, Manheim, nelle cantine degli immigrati. A volte il mondo contadino sembra un palcoscenico malandato su cui pochi si ostinano a ripetere delle vecchie battute. L’ultimo sciopero contadino è quello delle mondine vercellesi nel giugno del '63. In dieci anni le mondine sono scese da 330 mila a 70 mila. Nella fattoria di Venaria di Legnano, dove al tempo di Riso Amaro lavoravano ottocento mondine, ne sono rimaste centocinquanta. Fra il '60 e il '63 una città come Torino accoglie mezzo milione d’immigrati, costruisce per essi 200 mila abitazioni, crea 50 mila posti di lavoro. Mentre i contadini del sud arrivano in città, gli operai torinesi riscoprono le campagne. Centomila operai che entrano in città ogni mattina 25-30 mila che ne escono per raggiungere nuovi insediamenti. Nasce anche una reazione razzistica, un piemontesismo ostile agli immigrati, appaiono i cartelli ‟non si affitta ai meridionali”, scompaiono le sottoprofessioni, i mestieri umili, non si trova più gente disposta a fare il manovale, scompare la diversità dei modi di vestire, non si distingue più l’operaio dall’impiegato. Certi negozi a Pasqua e a Natale augurano ‟buone feste ai piemontesi”, poi anche i negozianti capiscono che gl’immigrati sono dei buoni clienti. Nella periferia di Torino, come di Milano e di Genova, nascono le ‟coree”, le bidonville di baracche in cui abitano gl’immigrati, ma il miracolo della nuova Italia bene o male si avvera. Le migrazioni interne che potrebbero distruggere il paese lo rafforzano.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …