La stampa su Bianco e nero: Valerio Cappelli, “Corriere della Sera”, 8 gennaio 2008

07 Febbraio 2008
Indovina chi viene alla festa? È lì, al compleanno della figlia di Fabio Volo, che in Bianco e Nero, il film di Cristina Comencini da venerdì in 250 copie, si accende il fuoco della passione tra lui e Aïssa Maïga, una nera mozzafiato, aprendo la crisi nelle rispettive famiglie. Aïssa è un'attrice quotata in Francia, dove arrivò dal Senegal all'età di 4 anni: cinema, teatro, tv. Eppure il tema del film, l'integrazione razziale e i pregiudizi in chiave di commedia, ha colpito anche lei. È vero che veste Armani (e ha una borsa di Martini) ma lo dice, è funzionale a una scena del film. Per il resto, né lei né Eriq Ebouaney, che interpreta suo marito, hanno trovato uno sponsor per gli abiti del set. ‟È un rospo che mi ero tenuta dentro durante l'intera lavorazione”, dice la regista. E suo marito, Riccardo Tozzi della Cattleya che ha prodotto il film: ‟Non è un episodio di razzismo in prima battuta, però c'è stato detto che il nero non fa vendere”.
Un razzismo in seconda battuta? ‟È una versione laica da marketing”. Tozzi, sembra una battuta del vostro copione...”In effetti nello spirito del film ci sono i grandi problemi del razzismo ma anche i problemi del quotidiano, dove gente che non è razzista ha comportamenti discutibili”. Come vi siete regolati per i calzini degli attori bianchi? ‟Abbiamo preso quel che si poteva”. Una sorta di ‟patteggiamento ‟. Sua moglie Cristina è più decisa: ‟Il mondo della pubblicità conserva degli stereotipi, nessuno marchio italiano ha voluto sponsorizzare attori africani”. La reazione non si fa aspettare. Per Marina Marzotto di Propaganda Gem, una delle società leader nel product placement, non è questione di pelle ma di fama e fumo: ‟Da anni sponsorizziamo film di attori come Will Smith, ma a differenza di Usa e Francia, non abbiamo attori neri noti al grande pubblico e questo impedisce un interesse delle aziende. Nelle scene dov'era chiesto il nostro supporto c'erano elementi di disturbo come il fumo, oggi incompatibile con chi vuol investire nel cinema in modo mirato”. Si temono altre prese di posizione, se non altro al grande popolo juventino piacerà il titolo. Immediato il rimando a Indovina chi viene a cena?, il filmone del '67 con Spencer Tracy, Katharine Hepburn e Sidney Poitier. ‟Anche perché è l'unico riferimento”, dice la regista, e qui sbaglia, tre anni fa apparve Indovina chi (con Ashton Kutcher, il marito-baby di Demi Moore), che rovescia l'impianto originale visto che a cena l'ospite è bianco.
Cristina prende di petto i cliché del mondo africano: gli uomini di colore che non possono essere fedeli, l'uomo bianco che va in Africa e si sente Lawrence d'Arabia, l'erotismo e ‟il nero che scopa meglio”. ‟Volevo fare una commedia pericolosa, difficile: sulla paura, sull'attrazione della diversità ‟. Altri esempi sono stati forniti da scampoli di conversazioni con coppie miste: alla figlia la bambola bianca va comprata o no? E la sposa bianca è meglio non faccia troppi figli sennò l'uomo nero la molla. Ci sono i desideri, la voglia dell'altra pelle, quelli che ti spogliano con lo sguardo, i trucchi per avere i capelli morbidi e lisci. ‟Sentivo continuamente il tarlo del politically correct: questo si potrà dire, quest'altro non si potrà dire. C'è una battuta pesante: non ne posso più di sentir parlare di fame in Africa. Solo un'attrice nera poteva dirla ‟. Altro coraggio, di segno diverso, ha mostrato nella scena del bagno nella fontana di Trevi, incursione nell'immaginario felliniano. Ambra manda avanti un'associazione terzomondista, si riempie la bocca d'Africa, figlia di un razzista che non sa di esserlo, alla sua seconda esperienza nel cinema dopo Saturno contro di Ozpetek: ‟Non potevo fare la tossica fino a 50 anni. Tutt'e due queste donne indossano una maschera, qui sono rigida, un muro che non conosce l'ironia, tradita in quello che ho di più prezioso: l'Africa. E mi fa scoprire d'essere un po' razzista. Nella vita invece sono cresciuta nella periferia multietnica dove l'integrità c'è per forza di cose”.
Il marito di Ambra è Fabio Volo, un bambinone mal cresciuto che si occupa di computer ed è immune dal Mal d'Africa. Ma quando incontra la moglie di Eriq Ebouaney, il collega di Ambra... ‟Noi francesi — dice Eriq di origine camerunese — siamo il paese dei diritti umani, accogliamo tutti ma non condividiamo un pasto. In Italia non negate a nessuno un piatto di pasta. Il più italiano del film sono io: bello, elegante, amo la moglie e la mamma. E sono cornuto”. Nemmeno i due attori neri sono d'accordo sulla discriminazione: per Aïssa ‟è superata, gli immigrati lavorano e pagano le tasse come tutti”; per Eriq ‟il problema esiste rispetto allo straniero”. Quel che il film non mostra è l'affinità tra Volo e Aïssa Maïga dopo l'attrazione fisica. ‟Sono diversissimi, però decidono lo stesso di stare assieme che è una speranza per il futuro”. Cristina, è stato difficile il finale, decidere la rottura delle famiglie? ‟È un tipo d'amore e di libertà che esistevano negli anni 70”. L'idea è nata di ritorno da un viaggio in Ruanda: ‟Mi si è spalancato un mondo, mi sono resa conto che nessuno, me compresa, aveva un solo amico nero. È stato l'inizio del film”. Un signore della Costa d'Avorio che lavora per organizzazioni umanitarie: ‟C'è un detto da noi, dire fuoco non brucia la bocca. Complimenti per aver fatto il film. A noi africani danno la chiave e poi cambiano la serratura ‟. Cristina: ‟Il mio è un primo parziale atto di conoscenza”.

Cristina Comencini

Cristina Comencini nasce a Roma nel 1956. Figlia del regista Luigi Comencini e madre di Carlo, Giulia e Luigi, esordisce al cinema come attrice nel 1969, diretta dal padre in …