La Serbia scrive all’Onu: "Stop al libro della Del Ponte"

12 Marzo 2008
Lei, ormai, è all’altro capo del mondo. Ambasciatore per la Svizzera in Argentina. Ufficio e residenza a Buenos Aires. Alle spalle la caccia a Mladic e Karadzic. Ma a Belgrado la sua immagine è sempre la stessa, quella del durissimo chief prosecutor del Tribunale dell’Aja. Otto anni di scontri. E adesso va in scena l’ultimo che ha per protagonista perfino il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon. Succede che la Del Ponte scrive e dà alle stampe la sua biografia. Che, per Feltrinelli, esce in esclusiva mondiale il 20 marzo [3 aprile]. La notizia non è segreta. Lei l’ha presentata in molte interviste. E i giornalisti che ci hanno parlato hanno anche avuto tra le mani una copia di La caccia. Io e i criminali di guerra. Dunque non è stato difficile, per il governo serbo, entrarne in possesso e tentare con ogni mezzo di bloccarne l’uscita. Con una mossa a sorpresa. Addirittura una lettera, spedita in duplice copia, a Ban ki-Moon e ai vertici del tribunale olandese. Con una richiesta perentoria: ‟L’uscita del volume deve essere posticipata perché contiene fatti e notizie che possono danneggiare il lavoro dei servizi segreti e la caccia ai latitanti”. Per Belgrado il procuratore ha riferito troppi dettagli dei colloqui con i servizi segreti. Per la Del Ponte è solo la "cronaca" dei suoi viaggi della speranza che si chiudevano tutti con una press conference. Di fatto il libro, in 400 pagine, è un pugno nello stomaco di Belgrado perché riferisce delle trattative disperate, e fallite, per ottenere i latitanti.
La Feltrinelli non fa una piega. Il libro è programmato per quella data e in quella data uscirà. Dal palazzo di vetro non giunge un fiato. Dall’Aja arriva il gelido comunicato della portavoce del Tribunale Nerma Jelacic: ‟Non è nostra abitudine fare commenti sui libri. Non facciamo i recensori. Il Tribunale parla con le sentenze”. L’ambasciatrice Del Ponte non vuole commentare. Lei e Chuck Sudetich, il giornalista del ‟New York Times” esperto di Balcani che ha scritto il libro in inglese si confrontano e decidono di tacere. ‟Ne parleremo quando il volume sarà pubblico e la gente potrà rendersi conto del contenuto”. Tutti e due sono tranquilli. I serbi non hanno ragione di risentirsi.
Massimo understatement. Deciso subito, tre giorni fa. È sabato 8 marzo, festa della donna, quando la Del Ponte, nel suo e-mail di Buenos Aires, riceve il lancio del quotidiano belgradese Blic che, nell’edizione on-line, accanto a una sua foto, annuncia l’atto di "guerriglia". È un’anticipazione che trova subito conferma ufficiale. Rasim Ljajic, il ministro delegato ai rapporti con il Tribunale dell’Aja, spiega che il segretario dell’Onu e i vertici dell’Aja, il presidente Fausto Pocar e il nuovo procuratore Serge Brammertz, hanno ricevuto la nota di contestazione. Top secret il contenuto. Nell’ufficio che fu della Del Ponte, dove ci si è resi conto che ormai a Belgrado la caccia ai criminali Mladic e Karadzic è di fatto sospesa, la mossa viene letta in un solo modo: l’ennesimo pretesto per non collaborare e non mandare all’Aja i massacratori di Srebenica ricercati da un decennio. Sul tavolo della Del Ponte però piovono gli attestati di solidarietà, come quello della ong di Belgrado Forum for security and democracy. Scrive il direttore Milan Jovanovic: ‟Le esprimiamo il pieno appoggio per pubblicare il suo libro. Non c’è dubbio che avrà un grande valore per la Serbia così com’è oggi”.

La caccia di Carla Del Ponte

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