Stefano Rodotà: Le idee nuove per l’opposizione

12 Maggio 2008
Come fare opposizione oggi in Italia? Domanda ineludibile, risposta difficilissima. Spero, infatti, che nessuno pensi davvero che bastino le formule che circolano in questi giorni: "dialogo, dialogo"; "saremo severissimi, ma aperti, e voteremo ogni provvedimento condivisibile"; "ripartiremo dal sociale"; "e noi faremo come Attali"; e via banalizzando. La questione, peraltro non è solo italiana, e le difficoltà sono determinate da un insieme di fattori: la personalizzazione, che respinge i programmi sullo sfondo; la campagna elettorale permanente e la prepotenza dei sondaggi. Sondaggi che immergono la politica in un eterno presente, rendendo sempre più difficile non dirò l’utopia, ma la stessa possibilità di considerazioni di medio periodo; il marketing politico, che "taglia" le proposte sul bisogno del consenso immediato e, quindi, sui diversi segmenti dell’elettorato, con il risultato che i programmi finiscono con l’essere, a un tempo, contraddittori, compromissori, illusori, sottoposti a tali e tante clausole "rebus sic stantibus" da risultare alla fine inutili. Quali strade seguire, allora, visto che contrapporre programma a programma è difficile, se non si cambia il modo in cui l’opposizione costruisce la propria cultura?
La riscoperta del governo ombra da parte del Pd non può essere un toccasana. Al massimo è un segno di buona volontà, ma è impresa non facile da gestire (quali i rapporti con i gruppi parlamentari e i loro presidenti?) e, soprattutto, può dare l’ingannevole sensazione che basti tallonare il vero governo per svolgere il ruolo che oggi si chiede ad una opposizione. L’esperienza italiana, invece, ci dice chiaramente che il punto essenziale è ormai rappresentato dal modo in cui si definisce l’agenda politica, dunque i temi nei quali l’opinione pubblica si riconosce e intorno ai quali si coagula il consenso. Il centrodestra, tanto nel 2001 che quest’anno, ha vinto le elezioni proprio imponendo la propria agenda, cancellando così quella di maggioranza e governo, che si sono giustificati sostenendo "non siamo stati capaci di comunicare", mentre era evidente che non si trattava di un problema di comunicazione, ma di inadeguatezza della propria proposta.
La costruzione di una seria agenda politica non può nascere da una attitudine mimetica, dal tentativo di muoversi sullo stesso terreno già individuato dall’avversario. L’imitazione, in politica, non è mai vincente. L’agenda proposta dall’opposizione deve sempre presentarsi come alternativa, anche quando affronta gli stessi temi al centro dell’azione della maggioranza. Questo richiede una cultura diversa, che è proprio quella mancata nella fase più recente, in cui centrosinistra e sinistra si sono caratterizzati per subalternità o genericità.
E’ dunque sul terreno della cultura politica che bisogna lavorare, come tanti sottolineano. Ma questo esige capacità di visione globale e di individuazione delle questioni davvero rilevanti, analizzandole con rigore e portandole davanti all’opinione pubblica in modo convincente. A titolo puramente esemplificativo ne elenco qui di seguito alcune.
1) La vicenda della pubblicazione su Internet dei dati riguardanti i redditi degli italiani, profili giuridici e risvolti grotteschi a parte, ha rivelato brutalmente l’enorme deficit di cultura tecnologica della quasi totalità della nostra classe politica. Ben prima di tecnologi e futurologi, gli antropologi avevano mostrato come il passaggio da un equilibrio tecnologico all’altro produca profondi effetti qualitativi. Ed è proprio qui che la politica deve esercitarsi, per comprenderli, valutarli, governarli. Viviamo, invece, immersi in un eccesso di attenzione per i temi eticamente sensibili, mentre l’innovazione tecnologica è percepita come qualcosa di inevitabile, e comunque da accettare perché portatrice di efficienza. Così la politica si consegna alla tecnologia, abbandonandosi a declamazioni ("un computer per ogni studente", "banda larga per tutti"), mentre l’avvento dell’Internet "sociale" e di quello "delle cose" esige strumenti affilati di analisi per comprendere la portata di quella che, da tempo e non a caso, è stata indicata come una "rivoluzione" quasi senza precedenti.
2) Anche nel corso dell’ultima campagna elettorale è affiorato il rapporto tra debito pubblico e dismissione di parti significative del patrimonio dello Stato. Di nuovo una semplificazione non più accettabile, accompagnata anche da qualche segno di schizofrenia. Per ripianare il debito, infatti, si è tornati a parlare di vendita di immobili pubblici adibiti ad abitazione e, al tempo stesso, si prometteva la costruzione da parte dello Stato e dei comuni di decine di migliaia di nuove abitazioni. Contraddizioni a parte, vale la pena di ricordare (lo ha fatto in un recente convegno dell’Accademia dei Lincei un grande esperto come Pellegrino Capaldo) che in questo modo si rischia di fare un gran regalo alla rendita fondiaria, mentre sarebbe tempo di una rinnovata riflessione sul regime giuridico dei suoli. Inoltre, grazie anche ai lavori svolti dall’Agenzia delle entrate e da commissioni ministeriali, disponiamo di elementi che permettono di guardare a modalità di gestione di particolari categorie di beni pubblici che possono renderli fruttiferi in forme significative anche in termini di Pil. Ed è ineludibile la questione dei vecchi e nuovi beni comuni, davvero tema cardine per l’assetto futuro delle relazioni sociali ed economiche all’interno degli Stati e nella dimensione globale.
3) Dopo anni di critiche alle politiche redistributive pubbliche ed alle "agenzie sociali della redistribuzione" (in chiaro: i sindacati) si aspetterebbe qualche parola netta sull’enorme redistribuzione delle risorse economiche operata attraverso il mercato tra 1983 e 2005. La Banca dei regolamenti internazionali ha documentato come la quota del prodotto interno lordo destinata ai profitti sia cresciuta in quel periodo dell’8.2%, mentre parallelamente precipitava quella destinata ai lavoratori. Dobbiamo continuare ad assistere silenziosi a questa vicenda, considerando intoccabile quel meccanismo di produzione dei profitti, magari benedicendoli in nome di una grossolana logica weberian-protestante? O siamo di fronte al più insidioso "fallimento" del mercato che, insieme a tanti altri, rappresenta un potente fattore, continuamente rimosso, di molte tra le insicurezze e le tensioni che ci circondano, e che incidono pesantemente anche sullo spostamento a destra del consenso?
4) E i diritti civili? Cancellati dalla campagna elettorale, non possono esserlo in eterno o venir sacrificati in nome di nuove alleanze al centro. Anche qui serve una strategia d’insieme. Che cosa si intende fare per quanto riguarda i temi eticamente sensibili e, per essere più chiari, quali saranno le iniziative riguardanti testamento biologico, unioni di fatto, procreazione assistita ? E che idee si hanno sulla deriva verso una società del controllo, della sorveglianza, della classificazione (torna qui il tema della tecnologia)? E le innegabili derive razziste? E sul terreno delle riforme istituzionali, che sembrano il terreno privilegiato delle intese bipartisan, si ha consapevolezza degli effetti sul sistema dei diritti che possono essere determinati dalle modifiche della forma di Stato e di governo, della legge elettorale?
5) E l’Europa? Il primo segnale, riguardante la sospensione del trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone, conferma le diffidenze mai negate da parte di settori significativi della maggioranza. Grande diventa, allora, la responsabilità dell’opposizione, perché è urgente ratificare il Trattato di Lisbona e soprattutto perché, dal primo gennaio dell’anno prossimo, diventerà giuridicamente vincolante la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che espande proprio libertà ed autonomia delle persone.
Su tutti questi temi, e su altri che si possono aggiungere, si deve cominciare subito a lavorare. Parlando di nuova cultura, è qui la vera pietra di paragone.

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà (1933-2017) è stato professore emerito di Diritto civile all’Università di Roma “La Sapienza”. Ha insegnato in molte università straniere ed è stato parlamentare in Italia e in Europa. …