Giorgio Bocca: Un ministro di polizia

12 Settembre 2008
Apro la televisione e c'è il Roberto Maroni, oggi nientepopodimeno che ministro di polizia, come si diceva un tempo, ed era più giusto, perché che senso ha chiamarlo degli Interni se si occupa continuamente degli stranieri che arrivano dalle nostre parti, e gli tocca spiegare l'impossibile. Cioè che alcuni possono restarci e altri essere rispediti, non si sa bene come, a casa loro, che alcuni sono regolari e altri no, ma se tu chiedi a uno che viene, per dire, dall'Africa sahariana perché è arrivato da noi rischiando la vita, lui ti mostra un rubinetto dell'acqua e ti dice: ‟Qui basta girarlo, con due dita, dove sono partito per avere l'acqua devo fare due ore di marcia”.
Guardo il Roberto Maroni, oggi potentissimo ministro, a cui nel '93, la bellezza di quindici anni fa, per prima cosa domandai: ‟Scusi Maroni, ma come ha fatto in tutti questi anni a sopportare Umberto Bossi?” E mi rispose: ‟Non lo saprete mai perché non lo so nemmeno io”. E fra le cose che non sapremo mai perché non le sa nemmeno lui ministro di polizia c'è anche questa ondata migratoria incontenibile per quanto facciano e dicano i nostri governanti passati e presenti, come nessuno ha mai saputo perché le invasioni barbariche ci furono ai tempi di Romolo Augusto, non prima e non dopo.
Il nostro tempo potrà essere vituperato per i più differenti motivi, ma non per la noia, non per il risaputo, non per il sempre eguale. Basta aprire una finestra sul mondo per rimanere basiti per l'incomprensibilità sua e degli umani che lo abitano.
Da noi ora è di moda l'imperatore Adriano per molte ragioni, in ultimo il ritrovamento di un suo busto con un orecchio solcato da una piega profonda, segno premonitore della malattia cardiaca che lo uccise. E naturalmente tutti rievocano la sua passione amorosa per il giovinetto Antinoo, a cui eresse in morte addirittura un tempio, passione per i suoi contemporanei romani per nulla scandalosa, affari suoi: figuriamoci se il signore del mondo non poteva innamorarsi di un giovinetto e portarlo a spasso dall'Egitto alla Grecia lasciando quell'arcigna della moglie nella splendida villa di Tivoli.
Ma il fatto è che questa storia imperiale di altri tempi viene ricordata sugli stessi giornali, nelle stesse televisioni dove si vedono penzolare dalla forca gli sventurati iraniani, condannati non solo per omosessualità ma per adulterio, questi ultimi lapidati nel più feroce dei modi, prima calati in una buca in modo che esca fuori solo la testa, gli uomini di faccia ai loro carnefici, le donne di nuca, come in una macabra partita a bocce con teste umane e pietre.
Giornali e televisioni ci mostrano Roberto Maroni, l'uomo che dopo aver abbandonato Bossi è tornato con lui e neanche questa volta sa il perché, e noi siamo lì a discutere di immigrati regolari e clandestini da far entrare e respingere, cioè dell'impossibile con disperati che pur di arrivare da noi attraversano il mare stipati su un gommone.
E oggi alle porte di casa nostra, nelle terre da cui l'imperatore Adriano ebbe l'accortezza di venir via, continua il massacro che neppure gli esperti dell'informazione riescono a spiegare: seguaci di un califfo ucciso secoli fa che fanno a pezzi con le bombe quelli della setta ai loro occhi ancora colpevoli, musulmani che fanno strage di cristiani o di indù, ex fondatori di "città nuove", di paradisi comunisti, che pistola alla mano danno il colpo di grazia ai condannati a morte di cui rivendicano subito gli organi, da destinare a qualche ammalato capitalista.
Apro la televisione, guardo Roberto Maroni che è un bravo tipo, di quelli che non sanno perché continuano a credere di poterlo cambiare, questo mondo.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …