Vittorio Zucconi: Presidenziali USA. La paura e la propaganda

04 Novembre 2008
L’ombra che da sempre oscura il "sogno" di Barack Obama e che lo accompagnerà per sempre, per ogni minuto della sua presidenza se dovesse raggiungerla, riappare in un documento giudiziario in Tennessee, con il volto di due neonazi bianchi e di una possibile strage. Lo dice una delle tante braccia del sistema di sicurezza nazionale americana, l’ufficio federale per il controllo di "Alcool, Tabacco e Armi da Fuoco", la Atf, chiamata in causa perché i due aspiranti imitatori di Harvey Lee Oswald e di Shiran Shiran, gli assassini di Kennedy, avevano progettato di svaligiare un’armeria e dotarsi di un arsenale per massacrare Obama e fare strage di ragazzi e ragazze neri in una scuola del Tennessee. Mitomani, idioti ubriachi o strafatti, immaginari crociati di una jihad bianca e cristiana contro l’uomo nero, qualunque cosa fossero questi due good ole boys, questi vecchi bravi ragazzi sudisti, la loro storia emersa da un documento finora sigillato in un tribunale ripropone, ad appena sette giorni dal voto, la stessa domanda che si legge negli sguardi dei dodici apostoli, degli agenti del Servizio Segreto - molti dei quali neri di pelle come il loro protetto - che da dieci mesi circondano Barack Obama: in una nazione dove l’assassinio politico ha segnato la storia dei grandi e rivoluzionari movimenti civili, da quell’Abramo Lincoln freddato perché aveva osato affrancare gli schiavi, a Luther King, ammazzato perché aveva sconvolto le acque torbide dell’apartheid sudista. Qualcuno, là fuori, fra i proprietari di 200 milioni di armi da fuoco, sta ribollendo di collera e di terrore al pensiero che lo «sporco negro» possa diventare il Capo, e quindi il simbolo vivente, dell’intera nazione. Non c’è neppure bisogno di essere uno di quei bravi soldati di pace, di quegli uomini e quelle donne che circondano Obama come picchetti umani pronti a incassare il proiettile destinato a lui, per sapere che dal primo giorno nel quale lui lanciò la propria sfida a 220 anni di storia del potere americano, il senatore dell’Illinois è stato, da qualcuno, da qualche parte, nelle anse più buie e malate del ventre americano, considerato un dead man walking, un condannato a morte, un uomo che vive una vita in prestito. È perfettamente possibile che anche questo complotto di nazi, di klanisti, di imbecilli senza qualità, sia soltanto uno delle migliaia che ogni giorno Fbi, Servizio Segreto (il corpo incaricato della protezione per le alte cariche dello stato), sceriffi e polizie indagano, contro tutti, contro Bush come contro i sindaci dei più modesti villaggi, scoprendo che si tratta di folli millanterie o di pure espressione di malattie mentali. E che la notizia del possibile piano, diffusa per prima proprio da quella rete tv, la Fox, che più detesta e assale Obama, volesse sottolineare la «pericolosità» di eleggere un «morto che cammina» e magari piegare qualche indeciso a favore del vecchio usato sicuro, McCain. E’stata proprio la Fox, e la macchina della propaganda repubblicana, ad alimentare per settimana la storia del rapporto fra Obama e un ex membro del terrorismo radicale di sinistra, e forse oggi spera di ricreare un processo di associazione psicologica. Ma Barack Obama fu il primo, fra tutti i candidati, a ricevere la protezione del servizio segreto, nel gennaio scorso, segno che il governo federale temeva o sospettava quello che tutti, in tutto il mondo, abbiamo pensato quando abbiamo visto un uomo con la sua storia e il suo volto puntare a quella Casa occupata sempre e soltanto da uomini bianchi, in una nazione che ancora una generazione fa uccideva chiunque, neri, bianchi, cattolici, ebrei, protestanti, osasse riconoscere non il potere, ma i diritti civili minimi ai figli degli schiavi. E chiunque abbia frequentato gli ultimi e ormai sempre più idrofobi comizi anti-Obama di McCain e soprattutto della sua «pit bull col rossetto» e le giacche di Valentino, la Palin, ha visto e sentito i ruggiti di odio, non di semplice avversione politica, contro «il fottuto negro comunista terrorista islamico arabo», giusto per sintetizzare le litanie, e gli slogan, che si alzano come effluvi tossici da una parte della folla e che soltanto una volta McCain, (non la sua valletta) si sono sentiti in dovere di zittire. Minoranze, questi che sono stati sentiti gridare «ammazzatelo» a quei comizi, pochi fanatici, certamente, perché la maggioranza di chi gli voterà contro non lo farà per ragione razziali o culturali, o almeno non lo ammetterà mai in pubblico. Anche due disperati in Tennessee, che addirittura avevano calcolato in 102 le loro vittime, pronti a morire, da bravi martiri del nulla della jihad neonazi, nella loro privata pulizia etnica, non sono nessuno, in una nazione di 305 milioni di persone, se non una pustola sulla pelle di un popolo che si prepara alla vittoria sensazionale e commovente del figlio di un immigrato keniano e di una ragazza del Kansas. Una "bufala" anche questa, come la grottesca storia del complotto di Denver durante la Convention? Può darsi. Ma se avessero arrestato Lee Harvey Oswald il giorno prima dell’assassinio di Kennedy, con un fucile comperato per posta, e il progetto di sparare all’auto presidenziale da un magazzino di libri a Dallas, probabilmente avremmo scritto, esattamente 45 anni or sono, che era un povero demente. Dimenticando, come la Sarajevo 1914 dovrebbe sempre ricordarci, che basta un demente con un’arma per cambiare la storia.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …