Giorgio Bocca: Fare i conti con la storia

01 Dicembre 2008
Federico Iadicicco, giovane militante di Alleanza nazionale, partito nato dal Msi, cioè dal neofascismo erede e continuatore del mussolinismo di Salò, ha dichiarato che lui e i giovani del partito di cui è leader Gianfranco Fini restano: "Noi non possiamo essere, non vogliamo essere e non saremo mai antifascisti". A prova che se l'antifascismo, a fascismo ingloriosamente morto e sepolto, è irripetibile, il neofascismo continua nella confusione del linguaggio e nella labilità della memoria. Che insomma non è scomparso il movimento politico autoritario che in ogni città italiana aveva il suo ‟sacrario dei caduti per la causa” e il culto della ‟mistica fascista” che nessuno, allora e adesso, è mai riuscito a capire in cosa consistesse. È davvero significativo che l'unico collegamento fra il fascismo squadristico degli anni Venti e il rifiuto antifascista di Iadicicco sia la fedeltà ‟ai morti per la causa”. Ci hanno ucciso, dunque siamo.
Il signor Iadicicco l'età della ragione ce l'ha, essendo della classe 1974, dunque sa certamente che per antifascismo oggi non s'intende muovere guerra al fascismo storico, nato e morto con Benito Mussolini. Per antifascismo oggi s'intende la difesa della democrazia da qualsiasi forma aperta o strisciante di dittatura, di mancanza di libertà, di nuovi razzismi, di nuovi imperialismi. È per questo che nella Costituzione repubblicana si dichiara espressamente il rifiuto della guerra e la difesa delle libertà e dei diritti umani. E allora il signor Iadicicco e i suoi camerati allergici all'antifascismo si mettano d'accordo con i dirigenti del loro partito che si dichiarano fedeli alla Costituzione e vanno in processione al sacrario ebraico di Yad Vashem. Rievocare il martirologio neofascista, raccontare la democrazia italiana come un regime dove è d'uso comune la caccia al neofascista, come nella Germania nazista lo fu la caccia all'ebreo, è un'esagerazione evidente.
I conti con la storia vanno fatti, ma senza usarli a sproposito. La guerra partigiana fu guerra di liberazione dall'occupante, ma anche guerra civile fra gli italiani, lasciò ferite profonde e inimicizie difficili da dimenticare. Ma tutto sommato ci fu una rifondazione nazionale, una rinascita civile, una coesistenza dei nemici di ieri.
Era l'anno 1977 quando scrissi per Laterza la storia della Repubblica di Mussolini, e la scrissi anche con colloqui con Giorgio Almirante fondatore del Msi, col generale Diamanti, il secondo del maresciallo Graziani, con i parenti di Buffarini Guidi, il ministro di polizia di Salò, con i perseguitati e con i persecutori di quegli anni di guerra e di sangue. Allora e dopo ebbi la sensazione, la certezza, che il miracolo si era compiuto, che il Paese era sopravvissuto alle lacerazioni profonde, all'odio insanabile, alla stupidità delle guerre.
E allora la riflessione che va fatta è un'altra, sulla natura umana, sull'incurabile egoismo umano. La chiusura dei giovani di An all'antifascismo democratico, più che una questione di risarcimenti di violenze subite nel passato, mi pare sia un'attuale rivincita di potere, lo sfruttamento del successo elettorale, la percezione di un protagonismo riacquistato.
Insomma, anche i giovani neofascisti - sempre fascisti - vogliono la loro parte di potere e di ricompense. I loro dirigenti di mezza età sono diventati ministri e sindaci, sono tra i vincitori della Repubblica berlusconiana. Gli basta e avanza l'alleanza con i moderati reazionari. Dell'antifascismo democratico non sanno cosa farsene.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …