Stefano Rodotà: la via maestra per il testamento biologico

04 Dicembre 2008
Misura, rigore, pulizia del linguaggio, rispetto degli altri. Sono queste, o dovrebbero essere, le regole d’ogni discorso pubblico, soprattutto quando si tocca la sfera delicatissima, insondabile forse, della vita stessa delle persone. Non è così nei giorni drammatici che hanno seguito la parola difficile e serena con la quale i giudici della Corte di Cassazione hanno chiuso la vicenda giuridica della sorte di Eluana Englaro. Toni violenti, là dove si richiedeva silenzio. Distorsioni dei dati clinici, là dove si chiedeva ascolto delle conoscenze scientifiche. Improvvisazione giuridica, là dove è indispensabile la consapevolezza delle tecniche da adoperare. E tutto questo avviene mentre contro i genitori di Eluana si levano impietose le istituzioni che rifiutano la loro collaborazione, si alimenta una impietosa ostilità pubblica.
Ma si è pure aperta una fase che ci interessa tutti, poiché sembra che le diverse forze politiche siano d’accordo per approvare al più presto una legge sul testamento biologico. Come, però? Con quali motivazioni e quali finalità? Avremo una legge seria e umana o un nuovo esempio di legislazione ideologica?
Da molte parti, ministro della Giustizia compreso, si afferma che questa legge sarebbe necessaria "per colmare un vuoto legislativo". È una affermazione che non corrisponde alla realtà, che continua a insinuare il sospetto che i giudici, affrontando nell’arco di diciassette anni la vicenda di Eluana, siano responsabili di una forzatura, abbiano creato illegittimamente diritto, invadendo il campo riservato al legislatore.
La tesi di una Cassazione che si sostituisce al potere legislativo, e così viola i principi della separazione tra i poteri, era alla base del conflitto sollevato dal Parlamento davanti alla Corte costituzionale. Ma i giudici costituzionali hanno dichiarato inammissibile il conflitto e hanno detto esplicitamente che i provvedimenti della magistratura non sono stati usati "per esercitare funzioni di produzione normativa o per menomare l’esercizio del potere normativo da parte del Parlamento" (ordinanza n. 334). I giudici, dunque, hanno agito legittimamente. E questo vuol dire che si sono serviti del diritto vigente, di norme che già esistono nel nostro sistema e che sono adeguate per risolvere in futuro casi come quelli di Eluana. Non un "vuoto", dunque, ma un "pieno" di diritto.
È proprio su questo "pieno" che si vuole intervenire. La conversione di molti ambienti fino a ieri contrari alla legislazione sul testamento biologico, la Chiesa in primo luogo, è eloquente. Non si persegue una legislazione necessaria, si cerca una rivincita. Per questo, per creare un clima di allarme e così imporre una legge che limiti quel diritto all’autodeterminazione della persona già riconosciuto dalla Costituzione e da altre norme, si dipingono i giudici come assassini e eversori. È una vecchia tecnica, che produce solo cattive leggi e inammissibili restrizioni dei diritti. Ricordate i tempi della legge sulla procreazione assistita? Si diceva che era indispensabile per eliminare il far west procreativo. E invece lo ha creato. Oggi migliaia di donne italiane vanno in altri Stati, chiedono un provvisorio "asilo politico" per sfuggire all’assurdo proibizionismo della legge italiana, e possono finire in paesi, dall’Ucraina alla Slovenia, dove gli interventi non offrono sufficienti garanzie né alla donna, né alla persona che nascerà.
Il quadro delle norme che già oggi, in Italia, consentono di rifiutare le cure e di morire con dignità, è chiarissimo. Lo ha detto la Corte di Cassazione in una esemplare sentenza dell’ottobre dell’anno scorso, lo ha ribadito nell’ultima sua sentenza. I giudici hanno ancorato i loro ragionamenti ad una serie amplissima di norme: gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione; la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina del Consiglio d’Europa; la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; la legge sul Servizio sanitario nazionale del 1978; gli articoli del Codice di deontologia medica. Hanno richiamato sentenze della Corte costituzionale e precedenti della stessa Cassazione. Il punto di partenza è rappresentato dall’ormai indiscutibile principio del consenso informato, dal quale discende il "potere della persona di disporre del proprio corpo" (così la Corte costituzionale nel 1990) e quindi l’illegittimità di qualsiasi intervento che prescinda dalla sua volontà. Da qui l’imperativa indicazione dell’art. 32 della Costituzione, che vieta qualsiasi trattamento che possa violare "il rispetto della persona umana". Qui si fonda il diritto di rifiutare qualsiasi cura.
Da questo quadro costituzionale il Parlamento non può prescindere. Il suo intervento, allora, deve avere come unico obiettivo il consentire a ciascuno di esprimere liberamente e responsabilmente la propria volontà per dettare le regole del morire nel caso in cui lo stato di incapacità in cui si trova gli impedisca di esercitare in quel momento il suo diritto al rifiuto dei trattamenti, come hanno potuto fare Piergiorgio Welby e Giovanni Nuvoli. Una legge sul testamento biologico (meglio, sulle direttive anticipate) deve essere sintetica, lineare, chiara, immediatamente comprensibile. Non deve risolvere un problema della politica, ma riconoscere un diritto dei cittadini. Deve affrontare solo le questioni necessarie per definire la validità delle direttive anticipate, non temi confinanti, ma distinti, quali sono quelli riguardanti il consenso informato e il rifiuto di cure, l’accanimento terapeutico e il suicidio assistito.
La strada è ulteriormente spianata dal chiarissimo articolo 408, dove si prevede che, "in previsione della propria futura incapacità", una persona possa designare "un amministratore di sostegno" perché siano rispettate le sue indicazioni nel caso in cui si trovi in stato vegetativo permanente. Di nuovo un "pieno" di diritto, già utilizzato dai giudici su richiesta delle persone interessate.
Questo cammino lineare non sarà facile da percorrere. Si dice nuova legge, ma molti preparano una restaurazione. Vi è una dura posizione di parlamentari cattolici con proposte che escludono il valore vincolante del testamento biologico e la possibilità di rinunciare a trattamenti come l’alimentazione e l’idratazione forzata, cercando così di imporre un punto di vista che mortifica la libertà delle persone e ignora le indicazioni della scienza. Ma il mondo cattolico non è monolitico, e bisognerebbe prestare attenzione a tutti le voci. Anche se sembra lontana la possibilità di avere in Italia una posizione della Conferenza episcopale analoga a quella della Conferenza spagnola che, presentando il suo "testamento vital", scrive che la volontà della persona deve essere "rispettata come se si trattasse di un testamento" (escludendo così la possibilità di un rifiuto o di una obiezione di coscienza da parte dei medici) e, con dichiarazione particolarmente impegnativa, sottolinea che la persona considera che "la vita in questo mondo sia un dono e una benedizione di Dio, ma non è il valore supremo assoluto".

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà (1933-2017) è stato professore emerito di Diritto civile all’Università di Roma “La Sapienza”. Ha insegnato in molte università straniere ed è stato parlamentare in Italia e in Europa. …