Un ritratto di Simonetta Agnello Hornby

07 Febbraio 2007
Personaggio non vuole essere, ma con la sua personalità sprizzante e decisa, la sua storia, il suo bagaglio di attività lavorativa, la sua aria di sfida, lievemente attenuata da un impasto di cortese riserbo siciliano e divertente autoironia inglese, suscita una curiosità che i libri da soli non soddisfano. Specie quando si scopre come è arrivata al primo romanzo.
Simonetta Agnello Hornby fino al 2000 faceva l’avvocato di successo a Londra; nata a Palermo, da liceale aveva studiato l’inglese a Cambridge e poi si era iscritta a Giurisprudenza nella città d’origine, dove si era laureata. Era però stata un anno in America con una borsa di studio Fulbright, ma poiché a Cambridge aveva incontrato un inglese che sarebbe divenuto suo marito, si abilitò alla professione in Inghilterra. E qui ha passato la maggior parte della vita e fatto le cose più importanti: due figli, che l’hanno poi resa felice e partecipe nonna di ben quattro nipotini, una carriera di avvocato specializzato in diritto di famiglia, al servizio delle comunità di immigrati, in uno studio legale da lei avviato che tuttora impiega 50 persone, e una posizione part time di giudice, come Presidente del Tribunale degli Special Educational Needs and Disabilities. Senza recidere i legami con la nativa Sicilia, dove torna regolarmente in visita.
Proprio grazie al ritardo di una coincidenza - prima che la Ryanair collegasse Stansted a Palermo con un volo diretto - costretta ad aspettare a Fiumicino senza nulla da leggere o scrivere, Simonetta immaginò una storia o meglio, precisa, vide un film che durò anche a bordo dell’aereo dove si imbarcò come una sonnambula tanto ne era avvinta, e che terminò all’altezza di Parigi. il film era La mennulara, il suo primo romanzo, che l’ha resa scrittrice a tutti gli effetti e famosa nelle sue due patrie, oltre che nel resto del mondo. Il libro, dedicato alla British Airways, è scritto in italiano perché l’autrice ritornava da una vacanza in Sicilia e il ‟film da lei visto” era in italiano. Dice di essersi sentita obbligata a scrivere la storia stessa che si è imposta e dipanata da sola. La lingua, così scorrevole e allo stesso tempo classicamente corretta – italiano vero, senza gli anglismi che scrittori sempre vissuti in Italia ci ammanniscono spudoratamente — è stata una fàtica, ammette, perché non la usava, scritta, da oltre trent’anni. Il romanzo, uscito dai ritagli di tempo, ha visto parecchie stesure perché se la Storia era pronta a lei mancava il mestiere. Anche se non è facile credere, leggendo quel gioiello che è La mennulara che sia l’opera prima di una persona cui non era mai passato per la testa di scrivere. ‟Invece è proprio così”, afferma divertita, ma poi si corregge: ‟In realtà ho scritto tutta la vita – in inglese – ma le storie dei miei clienti, non le mie”. E per non annoiare i giudici e se stessa le scriveva bene, ben articolate, veri e propri racconti di vita vissuta. Siccome per lunghi anni il suo lavoro è consistito nel far apparire sotto una luce il più possibile positiva persone che a diversi livelli e in misura diversa si erano macchiate di qualche colpa, si è servita di questa ‟abilità” professionale nel lavoro letterario. Anche un criminale efferato può voler bene ai suoi figli e cercare di farseli affidare o almeno di avervi accesso e a seconda di come lo si presenta chiunque può apparire un santo o un orco, come la Mennulara, misterioso personaggio con la morte della quale si apre il romanzo che si conclude senza un verdetto decisivo su di lei e il suo operato. Ogni personaggio della vicenda. dai padroni di cui è diventata serva padrona agli abitanti del paese, la vede in luce diversa anche quando i due conoscitori di ogni segreto, il medico e il prete, ricostruiscono i pezzi mancanti al gioco d’incastro. Lo stesso stile a scatole cinesi domina il secondo romanzo. fu Zia Marchesa, questo a sfondo autobiografico, perché Costanza è una parente ottocentesca dell’autrice e la sua storia reclamava una ricostruzione veritiera. Pirandello l’aveva alterata in Tutte e tre, scarno racconto non ben riuscito e la sfida era piaciuta alla battagliera Simonetta, che dopo il successo della prima opera ora ha optato per la nuova carriera. Pensa che forse la sua estraneità agli ambienti letterari le abbia dato una forza in più; sta di fatto che non solo è riuscita a farsi pubblicare da Feltrinelli, ma ha pure raggiunto l’inarrivabile Andrea Camilleri, che oltre a presentarle con entusiasmo i libri è pure diventato suo amico.
Eccola quindi, dopo una storia del ‘900 e una dell’800, completare la trilogia siciliana con una vicenda nella Sicilia d’oggi, più intimista e incentrata sulle sfumature della natura umana e gli sfaccettati drammi causati da tabù imposti o autoimposti. Nel suo appartamento londinese discutiamo di Boccamurata, che esce in questi giorni. ‟Tutte le famiglie hanno almeno uno scheletro nell’armadio?”, le chiedo. Eccome. e che razza di scheletri, risponde lei. E quanto bizzarri. Molto spesso la realtà è più curiosa, avvincente, incredibile della finzione e lei pensa che il giorno in cui scrivesse di cose vere, il pubblico potrebbe giudicarle inverosimili. Crede che, pur senza le pretese ideologiche degli anni ‟impegnati”, tutti quelli che scrivono libri abbiano un messaggio: il suo è di sfatare i tabù che di volta in volta segnano un’epoca o una storia. Al centro dei suoi due primi romanzi ci sono pregiudizi di classe e di sesso ma il messaggio, solo in apparenza banale, è che l’amore trionfa su tutto. Anche nell’ultimo, che ritrae una Sicilia ormai ‟liberata” e sempre più italiana, ma dove l’amore omosessuale è ancora peccato, per non parlare del più nascosto dei tabù, l’incesto.
Dei tre romanzi solo l’ultimo descrive un personaggio vero: Mademoiselle, ginevrina, figlia di un pastore protestante e che aveva davvero salvato l’ultimogenita di un conte russo durante la Rivoluzione. Nel libro è la modernissima e rigorosa istitutrice della zia Rachele, mentre in realtà ha tirato su la mamma di Simonetta, dandole un’apertura mentale e un affiato internazionale raro soprattutto nella Sicilia fascista del tempo e che si è indubbiamente trasmesso alla figlia. Simonetta scrive con un rigore morale che sa di calvinismo oltre che di esperienza da avvocato: legge, ricerca, studia, esamina e tenta il più possibile di essere accurata anche quando descrive particolari trascurabili al fine della vicenda. Quanto alla credibilità psicologica dei personaggi, per ogni libro si è rivolta a un amico psichiatra per verificare se atteggiamenti e reazioni fossero plausibili e naturali. Le piace esplorare luoghi sconosciuti e un posto particolare nel suo cuore occupano le misteriose macalube, palle sulfuree d’origine vulcanica, un ‟inferno bellissimo”, ignoto alla maggioranza dei siciliani stessi. Concludiamo con la servitù, i domestici dell’800 evolutisi nelle badanti di oggi. In ogni romanzo il loro ruolo è essenziale. Lei trova che l’anonimo ‟filippino” di oggi sia trattato da tutti, sia a destra sia a sinistra, come un elettrodomestico. Lei invece è stata tirata su da persone impiegate per la sua educazione e per cui le è stato inculcato il massimo rispetto.

Boccamurata di Simonetta Agnello Hornby

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