Quasi solo grazie

27 Marzo 2017

Affidatevi a Una storia quasi solo d’amore. Perché non abbiamo bisogno di troppe risposte. Ma di infinite domande sì. Chiara Gamberale – "Io Donna"

L'energia del romanzo trasforma una semplice storia d'amore nello spettacolo di una storia d'amore. Raffaella De Santis – "la Repubblica"

Il compleanno di un romanzo, di solito, non si festeggia. Ma un anno, per un romanzo, è anche il tempo del viaggio più intenso con cui l'autore lo accompagna. Per "Una storia quasi solo d'amore" ho incontrato, in questi 365 giorni passati, moltissimi lettori, in circa sessanta città italiane. Parli ai lettori di ciò che hai scritto, e forse solo così cominci davvero a capirlo. Quando una signora, in una biblioteca di quartiere, ti domanda: lei ha paura di invecchiare? Quando una ragazza scrive di avere trovato antipatico il personaggio femminile. Quando un lettore uomo adulto dice: metà romanzo non mi ha convinto, ma il finale mi ha commosso. Esposto a una quantità di "perché" che non aveva nemmeno immaginato, chi scrive percorre lo spazio scivoloso fra le intenzioni e la riuscita, fra un progetto e il risultato. È necessario. E ha ragione Zadie Smith quando sostiene che un romanzo - e forse ogni opera creativa - è sempre un fallimento riuscito: fallisci comunque rispetto a ciò che credevi di saper fare; riesci perché hai fatto quello che potevi. "Lavoriamo nel buio, facciamo quello che possiamo", dice proprio così, il personaggio-scrittore di un racconto di Henry James. Vorremmo avere - aggiunge - una seconda occasione, "ma poteva essercene solo una". Già. Poteva essercene solo una - e tuttavia si moltiplica: per ogni lettore che la incontra e la fa propria. E in qualche modo la cambia, la perfeziona, la reinventa.
Quando ho cominciato a scrivere questo romanzo, volevo che ci fossero almeno tre cose: una scuola di teatro (frequentata da giovani e da anziani), l'Italia di questi anni, e un mistero rivelato da una storia d'amore. Parto dagli ultimi due elementi: negli anni recenti del nostro paese vedevo soprattutto una staffetta bloccata fra vecchie e nuove generazioni, e una corrente inarrestabile di malumore. L'ironia sempre più acida - ne hanno parlato di recente due nati negli anni Ottanta: un regista come Xavier Dolan, un cantautore come Vasco Brondi. Segno che la malattia è sempre più evidente. "Quand'è che siamo diventati stronzi? Come abbiamo fatto a non rendercene conto?" mi domando nel romanzo. Va ancora trovata una risposta. Quanto alla storia d'amore, mi piaceva semplicemente l'idea di cogliere ancora una volta l'istante in cui - da macchine umane che producono solo pregiudizi - diventiamo qualcos'altro: esseri capaci di ascoltare, al livello più alto di curiosità e apertura. Non è uno spettacolo?
Infine il teatro. Non tanto, non solo quello "professionale": quello fatto per passione, quello di comincia a recitare da ragazzo, quello di chi lo fa da adulto per mettersi in gioco e alla prova. Nei prossimi mesi, continuando il viaggio, mi piacerebbe raccogliere volti, storie, esperienze di chi recita e ama recitare. Laboratori, piccoli teatri, associazioni culturali. Scuole di recitazione, corsi per giovani e per adulti, teatro di improvvisazione, teatro-terapia. Se qualcuno ha voglia di raccontare e di confrontarsi, può scrivere a scrivimi (at) feltrinelli.it .

Per il resto, grazie. Da una primavera all'altra, è stato un tempo pieno di sorprese.

Paolo Di Paolo


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