Con quella guerra, più o meno civile, più o meno decisiva nel conflitto mondiale, è finito il regime fascista, durato ventidue anni. Dunque non si può mescolarla, commemorarla, parificarla a quella di chi quel regime ha difeso fino all'ultimo giorno.
Propagata nel mondo da una micidiale combinazione di tirannide e globalizzazione, la «polmonite atipica», ovvero Sars (Severe acute repiratory syndrome), è il prototipo del «nuovo ordine biologico mondiale».
Un ruolo di primo piano, una vita quasi sempre in fuga da israeliani e americani. Nato 55 anni fa ad Haifa, grande e grosso, baffoni spioventi e sorriso gioviale, Mahmud Abbas alias Abu Abbas è stato una delle figure più note e controverse dell´Olp.
Dietro la guerra in Iraq si staglia la crisi della democrazia. In suo nome, gli eserciti Usa e inglese sono partiti alla conquista di Baghdad. Ma non saranno proprio coloro che oggi si atteggiano a difensori globali della democrazia a minacciarla?
La comunità di migranti arabo-islamici torinese di fronte al disastro della guerra in Iraq. In apparenza tutto va come sempre, però la guerra ha aumentato la repressione e le tensioni con gli italiani.
Dalla tolda della nave ammiraglia cosa scrutano ansiosi nel volo incerto delle procellarie gli ammiragli della Repubblica Superba? Naturalmente l'arrivo della tempesta. E perché sorridono sotto i loro impeccabili baffi...
Lo studioso Eliot Cohen ha convinto il presidente George W. Bush che stiamo vivendo la «Quarta guerra mondiale», contando come Terza la guerra fredda contro l'Urss, dal 1945 al 1989.
Signor Presidente della Repubblica, Le rivolgo un appello urgente. In altre occasioni durante le difficili vicende del nostro Paese in questi ultimi anni, come altri italiani mi sono rivolto a Lei, non ottenendo risposta.
Milioni di italiani guardano il sacco di Bagdad, io fra loro, sconvolto incredulo, e sono uno che è passato per almeno tre saccheggi nel nostro civilissimo Paese, in una provincia ricca e quieta del basso Piemonte.
Nella scuola dove continuo a insegnare amando e odiando il mio lavoro c'è una ragazzina dal sorriso disarmante, che arriva sempre un po' in ritardo perché per lei anche i più semplici gesti quotidiani sono faticosi: è una diversamente abile.
Il ministero del petrolio subito protetto dai carri armati; il museo archeologico lasciato al saccheggio, con i soldati Usa che ridacchiano. Il sospetto di un abisso culturale dietro alla guerra di Bush ti fulmina con questa doppia immagine da Bagdad.
Nei conflitti i giornalisti muoiono perché condividono la stessa sorte dei civili: vittime di una guerra che non risparmia nessuno nella sua voglia di «civilizzare» popoli riottosi.
Stretti tra due eserciti con forti esigenze di propaganda militare, fanno con precisione il mestiere di funamboli. Questo è per una volta vero giornalismo. Perché in guerra l’obiettività, la semplice emergenza dei fatti, è un atto ostile.
Sono George Wermacht Bush, presidente della più grande ex-democrazia del mondo. Prima di partire per il week-end nel mio chalet, dove mi distrarrò pescando le trote col mitra, vorrei tenere una breve e vittoriosa conferenza stampa.