Sid Ali proviene da una famiglia proletaria
algerina, dai casermoni di una delle tante "periferie sensibili"
di Parigi. È bello, intelligentissimo, raffinato lettore, padrone delle
più sottili sfumature della lingua francese. Ha ucciso quattro donne ed è
in un carcere di Lisbona, in attesa di essere estradato in Francia. Decide
di scrivere la sua storia, "senza montaggio", in un torrenziale
monologo. Scorrono schegge di vita della periferia: il bullismo, i
"fuck you", le canne, la desolazione, i vagabondaggi a passo di
hip-hop nei templi commerciali delle Halles, Virgin, Fnac, a farsi
solleticare dalla crudele seduzione degli oggetti irraggiungibili.
Straccione ma orgoglioso, Sid Ali cura il proprio corpo, si aggira come un
dandy bello di rabbia. Inveisce dentro di sé contro la volgarità della
società dello spettacolo e, contemporaneamente, vorrebbe essere l’unica
star e occupare la prima pagina di tutti i giornali, in un confuso sogno di
vendetta. L’estate si regala un viaggio in Marocco. Qui ha l’ennesima
prova della sua condizione di esule. Se in Francia è sempre e solo l’arabo,
in Marocco si sente sradicato, come già in Algeria dove aveva trascorso un’altra
estate da incubo. Passa la stagione e inizia l’ultimo anno di liceo.
Allievo fra i più brillanti, stringe con la sua carismatica insegnante di
francese un legame forte di reciproca stima che si fa sempre più intenso.
Poi, il pensiero improvviso di non essere compiutamente accettato, lo spinge
a ucciderla, soffocandola con un sacchetto della Virgin. La morte passa per un
incidente. Nel giro di pochi mesi, sempre in preda al raptus ma con estrema
lucidità, uccide altre tre donne incontrate per caso. Ogni volta che soffoca le
sue vittime, vuole essere riconosciuto come il "serial killer del
sacchetto" e raggiungere così la notorietà. Dopo la fuga e l’arresto,
Sid Ali cerca di mettere insieme i pezzi della sua storia maledetta. Alla
fine, è come riconciliato, pacificato, dopo aver urlato tutta la sua
rabbia.