Il ritorno di Lorenzo Marone
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere...
“Non gridare al cielo, ti dà retta come la terra, mucchio di letame”
Rinchiuso in un campo di internamento, nell’autunno del 1943 il poeta ebreo polacco Itzhak Katzenelson inizia a scrivere il Canto. Lo seppellirà dentro tre bottiglie in mezzo alle radici di una quercia, dietro il filo spinato del campo di Vittel, in Francia. Poco dopo, insieme al figlio, verrà trasferito a Drancy e da lì mandato direttamente alle camere a gas di Auschwitz (la moglie fu invece uccisa a Treblinka, con gli altri due figli). Il manoscritto sarà ritrovato dopo la guerra grazie alle indicazioni fornite dalla sua amica sopravvissuta Miriam Novitch, e quindi pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1945.
Il Canto del popolo yiddish messo a morte è il vertice letterario scritto dall’interno sulla distruzione di un popolo di Europa. Le parole di Itzhak Katzenelson testimoniano il dramma e le sofferenze di un popolo intero. Tremende, documentano pienamente la crudeltà subita. E rimandano al contempo alle responsabilità storiche e morali dell’uomo.
Questa edizione è a cura di Erri De Luca, che del libro dice: “Ho imparato lo yiddish per arrivare al Canto”. “Traduco il Canto perché è il canto dei canti, il vertice in poesia dell’esperienza della distruzione. […] Nel Canto c’è la vita feroce che vuole resistere con parole proprie e sceglie per resistenza la poesia."