Il ritorno di Lorenzo Marone
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere...
“Leggere Abulhawa significa fare i conti con la nostra paura della verità.” Alice Walker
Nahr è rinchiusa nel Cubo: nove metri quadrati di cemento armato levigato, con sistemi di alternanza di luce e buio che nulla hanno a che vedere con il giorno e la notte. Trascorre le sue giornate in isolamento, e il mondo fuori la chiama terrorista e puttana; alcuni forse la definiscono una rivoluzionaria o un esempio. Ma la verità è che Nahr è sempre stata molte cose e ha avuto molti nomi. È una ragazza che ha imparato, presto e dolorosamente, che quando sei un cittadino di seconda classe l’amore è solo un tipo di disperazione; ha imparato, sopra ogni cosa, a sopravvivere. Cresciuta in Kuwait da rifugiati palestinesi, arriva con le scarpe sbagliate in un paese, la Palestina, che conosce a malapena e lì trova obiettivi, passione politica, amici. Sogna di incontrare l’uomo perfetto, crescere il loro figlio e aprire un salone di bellezza. Incontra invece gli occhi scuri di Bilal, che le insegna a resistere, che prova a salvarla ma quando è già troppo tardi, quando l’occupazione è ovunque e da quella vita Nahr non vede via di fuga.
Un romanzo potente, che ricostruisce il ritratto unico di una donna palestinese che, anche imprigionata in una gabbia senza sbarre, rifiuta di essere una vittima.
Susan Abulhawa è nata da una famiglia palestinese in fuga dopo la Guerra dei Sei giorni e ha vissuto i suoi primi anni in un orfanotrofio di Gerusalemme. Adolescente, si …