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Fin dall’antichità esiste una tensione tra il modo in cui le città sono costruite e quello in cui le persone le abitano. E oggi la maggior parte della popolazione mondiale abita in città.
In uno studio urbanistico che chiude la trilogia dell’Homo faber nella società, dopo L’uomo artigiano e Insieme, Richard Sennett mostra come Parigi, Barcellona e New York hanno assunto la loro forma moderna e ci guida nei luoghi che sono l’emblema della contemporaneità, dalle periferie di Medellín in Colombia al quartier generale di Google a Manhattan. E denuncia la diffusione globale della “città chiusa” – segregata, irreggimentata e sottoposta a un controllo antidemocratico –, che dal Nord del mondo ha conquistato il Sud del mondo e i suoi agglomerati urbani in mostruosa espansione.
Secondo Sennett, esiste un altro modo di costruire e abitare le città. Nella “città aperta” i cittadini mettono in gioco attivamente le proprie differenze e creano un’interazione virtuosa con le forme urbane. Per costruire e abitare questa città, occorre “praticare un certo tipo di modestia: vivere uno tra molti, coinvolto in un mondo che non rispecchia soltanto se stesso. Vivere uno tra molti, nelle parole di Robert Venturi, permette ‘la ricchezza di significati anziché la chiarezza di significato’. Questa è l’etica della città aperta”.
“Una città è storta e sbilenca perché è diversa e molteplice, abitata da migranti di tutti i tipi, che parlano decine di lingue diverse, e perché contiene al suo interno disuguaglianze accecanti.” Una meditazione rigorosa e appassionata sul presente e sul futuro della vita urbana.
Richard Sennett ha fondato il New York Institute for the Humanities e oggi insegna Urban studies alla London School of Economics e alla Harvard University. È Senior fellow presso il Center …