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di Kaye Gibbons
Dopo Huckleberry Finn e Tom Sawyer, dopo il giovane Holden, è una ragazzina undicenne che viene a frantumare, con il suo candore e la sua determinazione, i sogni di purezza dell'americano medio. In pagine di esemplare coerenza stilistica, la "vecchia Ellen" (come le piace chiamare se stessa) racconta, in prima persona e in modo tanto più imperturbabile quanto più atroce, la sua storia di adolescente abbandonata, e finisce per narrarci molto più del destino tragico di una bambina: dietro di lei e dentro di lei il mondo del Sud tutto fiori alle pareti e meschinità, magnolie e merendine pomeridiane sciorinate a coprire lo squallore morale e il razzismo di una società pettegola e violenta. Rimasta orfana di madre, Ellen passa la vita a rifare le valigie (un'unica grossa scatola di cartone che è la sua vera piccola casa), sballottata tra un padre ubriacone e una nonna perfida e distratta. Finalmente viene adottata da una famiglia - foster è aggettivo che in inglese significa appunto "adottivo" - dove potrà abbandonare le movenze di ragazzina invecchiata e vivere la sua adolescenza.
La voce di Ellen, un magistrale mélange di vezzosità, saccenteria e ostinazione, oscilla tra la provocazione infantile e l'imitazione, in falsetto, del più atroce repertorio di banalità degli adulti. Ma la chiacchiera di Ellen è l'unica via d'uscita dalla tetra quiete dei falsi quadretti familiari.
Kaye Gibbons è nata nel 1960 nella contea di Nash, Carolina del Nord. Con Ellen Foster (Theoria , 1991; Feltrinelli, 1995), un racconto semiautobiografico sull’infanzia nel Sud rurale, ha vinto …