“Forse l’opera letteraria più significativa dei nostri tempi.” The Guardian
Nell’ultimo volume della sua monumentale opera, Karl Ove Knausgård fa definitivamente i conti con se stesso. È il periodo particolarmente turbolento antecedente la pubblicazione del primo volume de La mia battaglia. Karl Ove sta ricevendo i pareri e le reazioni delle persone di cui ha scritto e, fra attestati di stima e tenui critiche, emerge la netta opposizione dello zio paterno, Gunnar, che lo accusa di aver mentito su ogni cosa. La soluzione che gli prospetta lui è una sola: cambiare tutto, pena un aspro scontro in tribunale. Il suo intervento inaspettato costringe Karl Ove a togliere il nome del genitore, che nel romanzo viene citato unicamente con le parole “mio padre”. Il trauma di questa privazione costringe Knausgård a interrogarsi e a riflettere sulla memoria e sul ruolo fondamentale che ha il nome nell’infondere vita in una persona reale o in un personaggio di finzione. Con l’aiuto di una poesia di Paul Celan e del testo che più di ogni altro ha incarnato il male assoluto – quel Mein Kampf che racconta la battaglia di Adolf Hitler per diventare la persona che tutti conosciamo –, Karl Ove Knausgård ancora una volta chiama il lettore a combattere e ad affrontare le proprie paure.