Non tutti i testi di Forme d'onda raccontano storie. Alcuni sì: e sono comunque molto diversi tra loro. Assomigliano a una vertiginosa combinazione di sapori familiari, ma stranianti: pile elettriche assaggiate con la punta della lingua, mentine senza zucchero, liquori alla mandorla, collutori al fluoro, cracker sbriciolati.
Gli altri, invece, nascono dalla scrittura mentre cerca di intrufolarsi in zone dell'esperienza che vere e proprie storie non sono, ma che implorano comunque pezzi di linguaggio per esistere, per non scomparire. In questi casi allora il linguaggio tenta di catturare una sensazione, oppure di comporre insieme vari atteggiamenti verso cose, fatti, persone. Altre volte si deve disarticolare per meglio inseguire i fili dei ricordi dove loro stessi vanno a perdersi. Oppure si cristallizza per non lasciare andare via un dolore che in tanti si è provato, o l'intimità di un amore. Nei casi estremi gira su se stesso, perché ci sono zone dell'esperienza che esistono in modo paradossale: non si lasciano conoscere, sono lo sfondo per altre figure.
Capita anche questo: che il linguaggio si appallottoli in una composizione innanzitutto per far rumore. Segnala così la sua presenza, come quando entriamo in un negozio deserto e diamo un colpo di tosse per far capire che ci siamo.