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“Farci capire ciò che sarebbe stato nostro compito conoscere. È questo che ha fatto Leogrande.” Nicola Lagioia
In pochi hanno saputo raccontare Taranto come Alessandro Leogrande. Singolare laboratorio urbano, stretto tra le ciminiere dell’Ilva e il mare che si apre davanti ai suoi palazzi, la città è diventata emblema dello sviluppo novecentesco del paese, delle sue trasformazioni, dei suoi fallimenti, delle sue cadute, e infine del suo rifluire verso una crisi profonda. A partire dalla parabola di Giancarlo Cito – ex picchiatore fascista, telepredicatore, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, divenuto a furor di popolo sindaco dopo il crollo della Prima Repubblica, l’altra faccia della medaglia della privatizzazione del siderurgico, dello scombussolamento della fabbrica e dell’ecatombe ambientale. Per comprendere la Taranto odierna, quella in cui il nodo salute-lavoro è esploso nel più fragoroso dei modi, trascinando tutti nel vortice, bisogna capire come i vari strati della città hanno interagito tra loro. E comprenderla è essenziale, poiché oggi è specchio dell’intera Europa, un continente segnato dalla recessione e da difficoltà politiche ed economiche – in cui è divenuto essenziale trovare modi per coniugare la salvaguardia del territorio e una vita degna di essere vissuta per tutti. Alessandro Leogrande, più che fornire risposte, prova a raccontare i tanti cocci che hanno generato la più grave crisi ecologica e industriale che l’Italia ricordi, donandoci uno dei suoi più intensi reportage.
Alessandro Leogrande (Taranto, 1977 - Roma, 2017) è stato vicedirettore del mensile “Lo straniero”. Ha collaborato con “il Corriere del Mezzogiorno”, “il Riformista”, “Saturno” (inserto culturale de “il Fatto Quotidiano”), …