Il ritorno di Lorenzo Marone
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere...
“Farci capire ciò che sarebbe stato nostro compito conoscere. È questo che ha fatto Leogrande.” Nicola Lagioia
In pochi hanno saputo raccontare Taranto come Alessandro Leogrande. Singolare laboratorio urbano, stretto tra le ciminiere dell’Ilva e il mare che si apre davanti ai suoi palazzi, la città è diventata emblema dello sviluppo novecentesco del paese, delle sue trasformazioni, dei suoi fallimenti, delle sue cadute, e infine del suo rifluire verso una crisi profonda. A partire dalla parabola di Giancarlo Cito – ex picchiatore fascista, telepredicatore, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, divenuto a furor di popolo sindaco dopo il crollo della Prima Repubblica, l’altra faccia della medaglia della privatizzazione del siderurgico, dello scombussolamento della fabbrica e dell’ecatombe ambientale. Per comprendere la Taranto odierna, quella in cui il nodo salute-lavoro è esploso nel più fragoroso dei modi, trascinando tutti nel vortice, bisogna capire come i vari strati della città hanno interagito tra loro. E comprenderla è essenziale, poiché oggi è specchio dell’intera Europa, un continente segnato dalla recessione e da difficoltà politiche ed economiche – in cui è divenuto essenziale trovare modi per coniugare la salvaguardia del territorio e una vita degna di essere vissuta per tutti. Alessandro Leogrande, più che fornire risposte, prova a raccontare i tanti cocci che hanno generato la più grave crisi ecologica e industriale che l’Italia ricordi, donandoci uno dei suoi più intensi reportage.
Alessandro Leogrande (Taranto, 1977 - Roma, 2017) è stato vicedirettore del mensile “Lo straniero”. Ha collaborato con “il Corriere del Mezzogiorno”, “il Riformista”, “Saturno” (inserto culturale de “il Fatto Quotidiano”), …