“Più terribile di ogni altra cosa è l’ululare dei lastroni di ghiaccio”
Nel 1872 la corte austroungarica finanzia una spedizione che ha il compito di rintracciare il leggendario passaggio a nordest, un varco tra i ghiacci dell’Artico che consentirebbe di raggiungere l’Oriente. Al comando della pericolosa avventura sono due giovani e ambiziosi ufficiali. Con loro, ventidue membri dell’equipaggio, marinai perlopiù triestini e dalmati, due cacciatori tirolesi e un arpioniere norvegese. Ma già dopo un mese la nave si incaglia nell’estremo nord. Per giorni, i marinai tentano di liberarla, tagliano il ghiaccio con scuri e zappe, scavano buchi e canali. Invano: la morsa è inesorabile. Allora comincia un altro viaggio, alla deriva tra i ghiacci in un oceano sconosciuto. Con i primi raggi del sole torna la speranza, ma la nave comunque non può più fare vela verso casa. Approdati sulla terraferma, trascorrono un secondo inverno, ancora più duro. Per salvarsi da un terzo inverno che sarebbe per loro fatale si incamminano per mesi verso sud, dove vengono recuperati da due navi russe. In patria sono accolti trionfalmente, ma lo scoppio della Prima guerra mondiale cancella il loro ricordo. Intanto, parallela a questa storia corre la vicenda dell’immaginario discendente di quei pionieri. Josef Mazzini, da sempre appassionato di esplorazione polare, partecipa a una spedizione sulla nave oceanografica Cradle, ma la nuova realtà scientifica e tecnologica non ha più nulla a che fare con l’epopea di un tempo. Sennonché…