“Ormai l’avrete intuito, ne sono certo. Questo non è uno spettacolo. Se lo fosse avremmo spento le luci in platea. Avrete anche capito che questa non è una commemorazione; non so voi, ma io personalmente ho le scatole piene di commemorazioni a orologeria, di anniversari dovuti che svuotano di senso la memoria. A maggior ragione non mi si parli di celebrazione. Mia nonna diceva che non si può celebrare un massacro. Ma soprattutto questa nostra cosa non è il riassunto di un libro, anche se è nata da un libro. Ma allora cos’è?”
Tre personaggi si muovono su un palcoscenico. Insieme a loro le ombre dei ragazzi che un secolo fa partirono per essere inghiottiti dalla morte anonima e di massa della Grande Guerra. Una morte che risuona nel cigolìo del gulaschkanone, la cucina da campo austroungarica su ruote che inghiottiva carne animale per sputare spezzatino.
Gli studi e le interviste per scrivere Come cavalli che dormono in piedi, hanno ispirato Paolo Rumiz a realizzare anche questo dolente e immaginifico testo, la cui messa in scena è a cura del Teatro stabile del Friuli-Venezia Giulia (Trieste 2016).
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