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di Paolo Rossi
“Ciò che distingue in modo radicale ogni ideale ‘moderno’ sta nella rinuncia al sapere come contemplazione”
La compenetrazione fra tecnica e scienza ha segnato, nel bene e nel male, l’intera civiltà dell’Occidente. Ma questo stretto rapporto era assente sia nella civiltà antica sia in quella medioevale. Le sette arti del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia) si chiamavano “liberali” perché erano le arti degli uomini liberi, contrapposti ai non liberi o schiavi, che esercitavano le arti meccaniche o manuali. Le arti meccaniche vennero concepite, per due millenni, come necessarie al sapere, ma forme inferiori di conoscenza, immerse fra le cose materiali e sensibili, legate alla pratica e all’opera delle mani. Il disprezzo per gli schiavi e i servi si estendeva alle attività da loro esercitate. Per tutto il secolo XVII “vile meccanico” è un insulto che, ove venga rivolto a un gentiluomo, lo induce a sguainare la spada. Con grande chiarezza e con una non comune capacità di sintesi, questo libro – che dall’epoca della sua prima edizione (nel 1962) è stato tradotto negli Stati Uniti, in Ungheria, in Polonia, in Spagna, in Brasile, in Francia, in Giappone – affronta il problema del mutamento profondo delle ideologie che si accompagnò al nascere e al progressivo affermarsi di una moderna concezione del lavoro, della tecnica, dell’industria.
Paolo Rossi, nato a Urbino nel 1923, è il maggior storico della scienza italiano. Ha insegnato Storia della filosofia nelle università di Milano, Cagliari, Bologna e Firenze. Per Feltrinelli ha …