‟Cosa può fare ancora, dopo di Voi, un poeta? Un maestro (Goethe, per esempio) lo si può superare, ma superare Voi – significa (significherebbe) oltrepassare la Poesia.” Così scriveva Marina Cvetaeva a Rilke, identificando in lui la poesia stessa, il poeta assoluto e insuperabile della nostra epoca. Eppure questa poesia altissima ha essa stessa un vertice: I sonetti a Orfeo. I sonetti, come le Elegie dello stesso Rilke, come i grandi testi di Eliot e di Montale, non sono un mero momento epifanico. Sono un vero e proprio racconto: tessono la trama degli eventi, dell'intreccio apparentemente incomprensibile delle cose, proponendo un'immagine visibile di quel logos, di quella ragione dei contrari e della differenza, che ci presenta il mondo nella sua ultima verità. Infatti Orfeo, il dio del canto, è il dio che canta questo nostro mondo: il mutare delle cose e degli uomini che abitano presso di esse.
‟Sii in questa notte della dismisura / magica forza all'incrocio dei tuoi sensi, / senso del loro incontro strano. / E se terrestrità ti ha dimenticato, / di' alla terra immota: io scorro. / Alla rapida acqua parla: io sono.”