Identificati come "abiti del male" da Aristotele, come "opposizione della volontà dell'uomo alla volontà divina" nel Medioevo, come espressione della tipologia umana nell'Età dei lumi appaiono infine come manifestazione psicopatologica nel Novecento. "E così, fuoriescono dal mondo morale per fare il loro ingresso in quello patologico. Non più vizi, ma malattie dello spirito."
Alla luce di questa sequenza storica, Galimberti "ambienta" i vizi nel panorama contemporaneo lasciando emergere significative contraddizioni, un'inedita penetrazione nel conflitto fra la funzionalità (anche del male) nell'età della tecnica e l'urgenza dell'etica. Segue, come un inevitabile complemento, un'ampia ricognizione su quelle tendenze, modalità comportamentali che si potrebbero definire, con la dovuta accortezza, come i "nuovi vizi": la sociopatia, la spudoratezza, il consumismo, il conformismo, la sessomania, il culto del vuoto. Non si tratta di caratteristiche della personalità (come lo sono i vizi capitali: l'avaro, il goloso, il superbo ecc.), anzi la voluttà dello shopping, la dipendenza dalla merce, per esempio, sono esattamente il contrario: il dissolvimento della personalità. E allora perché parlarne? "Per esserne almeno consapevoli e non scambiare per 'valori della modernità' quelli che invece sono solo i suoi disastrosi inconvenienti."
Umberto Galimberti
Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …