Nelle società arcaiche gli scambi prendono spesso la forma del dono; doni apparentemente volontari e liberi ma in realtà inscritti in una stretta rete di obblighi e di reciprocità. Nel 1925 Marcel Mauss, in un saggio divenuto celebre, suggerì che questa specifica forma di scambio fosse destinata a perdere d’importanza e infine a scomparire in economie più moderne dominate dal mercato, dai contratti, dal denaro. Natalie Zemon Davis parte invece dalla convinzione che la fortuna del dono possa variare in diversi periodi storici, ma che esso non perda mai di significato; il dono può convivere con il mercato e occupare un registro particolare dotato di proprie regole, di propri linguaggi e gesti. Il terreno prescelto è il Cinquecento francese, il secolo di Rabelais, Margherita di Navarra e Montaigne, dominato dalle pratiche del dono. Alcuni eventi, come la diffusione della stampa, contribuirono a diffonderle; altri, legati ad esempio alla difficile reciprocità che informava i rapporti tra sovrani e sudditi o, all’interno delle famiglie, tra uomini e donne, tra genitori e figli, minarono la fiducia nei suoi ideali pacificatori. Con rigorosa leggerezza, Zemon Davis mostra come le forme del dono dipendano meno dalle leggi del mercato e del danaro che dai modi in cui uomini e donne praticano e riflettono ai modi di dare e di ricevere, alla forza degli obblighi reciproci, ai doveri e alle attese nutrite verso i vivi e verso i morti.