Il ritorno di Lorenzo Marone
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere...
“Qualunque soggetto può essere contemplato dagli occhi profondi del fanciullo interiore”
È possibile parlare, poetare, pensare, oltre la lettera, oltre la morte della voce e della lingua? E l’interrogativo che si pone Giorgio Agamben nel saggio che introduce Il fanciullino di Giovanni Pascoli, uno dei testi più profondi, significativi e misconosciuti del decadentismo italiano. Per il fanciullino il linguaggio è una riserva di oggetti che “furono vivi” e che stanno come congelati sull’orlo della vita, in attesa di essere “animati”. L‘opera poetica è dunque, in primo luogo, un tentativo di restituire la vita alle cose morte che si sono depositate nella lingua, in una lingua che appare così essa stessa lingua morta: la poesia diventa allora una sorta di attraversamento della morte, una “complicità con la morte”, che lega questo testo pascoliniano ai grandi testi del “moderno”.
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855. Studiò nel collegio dei padri Scolopi a Urbino, poi frequentò il liceo a Rimini. La sua infanzia fu funestata dalla …