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“Lievi ombre scivolavano sulla neve, e anch’esse raccontavano qualcosa.”
“Era come se prima di conoscerla avessi dormito, nascosto nell’oscurità, ma lei comparve e mi risvegliò, mi portò alla luce, legò ogni cosa intorno a me in un filo ininterrotto, intrecciò tutto in un merletto multicolore, e subito e per tutta la vita divenne un’amica.” Parole piene di fiabesca magia che descrivono l’incontro del piccolo protagonista con la nonna materna, vera stella polare di questo romanzo autobiografico. Rimasto orfano di padre a soli cinque anni, Aleksej Peškov (vero nome di Gor’kij) si trasferisce a vivere con un nonno tiranno e una nonna materna meravigliosa narratrice. È lei che con il suo mondo di storie e leggende aiuterà il piccolo, curioso e sovente spaventato, ad affrontare la barbarie della vita. Colorata dalla povertà e da una brutalità orribile, è quest’infanzia che ha permesso a Gor’kij di comprendere – in un modo negato a un Tolstoj o a un Turgenev – la vita del russo comune e di rappresentarla in un racconto permeato di una dolce e struggente malinconia, inestricabile miscela di pianto e riso. Atmosfere e toni che si fatica ad associare all’autore universalmente considerato l’iniziatore del “realismo socialista” – un’etichetta che lo travolse rendendolo oggetto di opposti furori, esaltatori o denigratori, concentrati non tanto sulla sua opera, ma sulla sua vita o su ciò che della sua vita si è voluto mostrare. A quasi un secolo dalla sua scomparsa, è giunto il momento di rileggere i suoi libri, e di farlo con uno sguardo nuovo.
Maksim Gor’kij (1868-1936), pseudonimo di Aleksej Maksimovič Peškov, scrittore e drammaturgo russo, fu ciabattino, disegnatore, aiuto cuoco su un battello, venditore di icone, casellante, panettiere. Coinvolto nell’attività rivoluzionaria contro il …