Il ritorno di Lorenzo Marone
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere...
Il fascino della visione di Keynes nasce dalla ricchezza di un pensiero capace di ricollocare l’economia in un vivo dialogo con la storia, la politica, la società, la filosofia. Keynes è stato il pensatore di un’epoca di crisi profonda. La Grande guerra, il crollo di Wall Street nel 1929, la Seconda guerra mondiale segnano drammaticamente il suo tempo. E la forza del suo messaggio non sta solo nell’offrire una spiegazione convincente delle cause storiche e politiche di quella stagione devastante. Sta nel rifiutare di rassegnarsi, nel continuare a cercare soluzioni concrete e sperimentabili, nel riaffermare l’idea scandalosa secondo cui la scienza economica non deve mirare al bene dei mercati ma al bene dell’umanità.
Dopo Keynes la scienza economica sembra di nuovo avere perso di vista questa sua ragion d’essere non solo economica. Oggi tocca di nuovo a una crisi violentissima, di cui non vediamo la fine, il compito di riaprirci gli occhi sulla verità dell’economia. Viene meno ogni illusione circa le presunte virtù della “mano invisibile”, che avrebbe dovuto condurre i mercati a uno spontaneo equilibrio e le ricchezze a un’armoniosa ridistribuzione. La “mano visibile” della politica torna ad apparire come un ragionevole e necessario contrappeso alla cieca autonomia dei mercati. E nel quadro di questo grande dibattito che va imponendosi con sempre più forza e necessità, Keynes torna a essere una guida indispensabile, per il nostro presente e il nostro futuro.
Oggi sembriamo aver dimenticato tutto ciò che Keynes ci aveva insegnato. Che il capitalismo non è perfetto ma è perfettibile. Che lo Stato non è necessariamente la panacea ma può essere la soluzione di alcuni problemi. Che l’azione collettiva non è necessariamente negativa ma può essere positiva. Che non bisogna essere rassegnati e pessimisti perché rassegnati e pessimisti vuol dire conservatori nell’animo. Giorgio La Malfa
Giorgio La Malfa (Milano, 1939) ha insegnato Economia politica e Politica economica nelle università di Napoli, Milano, Torino, Catania. Dal 1972 è stato deputato al Parlamento italiano per il Partito …