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“La sua opera è pervasa dal sentimento innominabile dell’unicità della vita” Emanuele Trevi
In un mattino simile a tanti altri G.H., donna sicura della propria identità e delle proprie scelte, si scontra con un fatto, un evento infimo e mostruoso, che avrà sulla sua vita un effetto fortemente traumatico. In un lungo, minuzioso monologo G.H. riferisce il suo viaggio, allucinato, all’interno di una stanza: “Creerò ciò che mi è accaduto. Solamente perché vivere non è narrabile. Vivere non è vivibile”. Solo attraverso la totale perdita dell’identità, nello spaesamento, nel disorientamento, G.H. comprende che il vivere è “cosa sovrannaturale”, che “essere io,” scrisse Alfredo Giuliani in occasione della prima edizione italiana, “non è una peculiarità umana perché proviene da una fonte anteriore e assai più grande, da una materia infinitamente più ricca e sconosciuta”. Una estenuata interrogazione sul senso di vivere e la ricerca continua della faccia nascosta della realtà.
“Il suo sguardo coglie l’incongruenza delle cose che sono e la volgarità dei nessi che le tengono insieme.” Antonio Tabucchi
Clarice Lispector(1920-1977) è nata in Ucraina in una famiglia ebraica costretta a emigrare in Brasile quando Clarice ha solo due anni. Dopo un’infanzia passata nel Nordest del paese e la …