Le classi dirigenti dell’Africa subsahariana postcoloniale hanno tenacemente perseguito la modernizzazione dell’agricoltura e dell’allevamento. Il programma comune, al di là delle differenze tra i regimi politici, è stato quello di spazzare via l’economia di sussistenza e di far passare rapidamente contadini e pastori all’economia di mercato o pianificata. La cooperazione internazionale allo sviluppo ha alimentato, finanziato e sostenuto questa visione con progetti costosi e a volte inutili, che hanno contribuito alla disgregazione degli equilibri delle società tradizionali e al mantenimento di una classe politica e burocratica parassitaria. Il mondo agricolo-pastorale è stato quindi oggetto di un nuovo sfruttamento, al quale ha cercato di resistere come ha potuto, per poi rassegnarsi all’emigrazione all’estero o nelle città africane. Giordano Sivini ricostruisce come tutto ciò sia avvenuto a partire da vicende osservate e studiate in prima persona, lavorando per la Cooperazione italiana. Sivini ripercorre i processi storici precedenti il colonialismo collegati al bisogno di modernizzazione implicito nel rapporto di sfruttamento instaurato dal colonialismo e diventato, dopo l’indipendenza, funzionale alla rendita dei ceti urbani. Affronta il problema del rapporto tra sviluppo e sottosviluppo e quello della cooperazione allo sviluppo, delle sue carenze e delle malefatte che ha prodotto. Il libro è costruito come un grande viaggio sulle rotte di Senegal, Mali, Burkina Faso, Etiopia, Tanzania e Angola. Le descrizioni delle diverse realtà si alternano ad ampie finestre sul paesaggio e la natura, all’incontro con le genti, ai colloqui con le personalità e gli attivisti locali e alla ricostruzione del clima politico in cui si è operato.