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Se c’è qualcosa che accomuna tutti i giorni di una vita è la ricerca di qualcosa che manca. Esiste un desiderio, un impulso che ci spinge a riempire una lacuna che fa parte di noi. Quello che la nostra natura ci invita a cercare imbattendoci nell’inquietudine e nell’insoddisfazione di mille vicoli ciechi è l’altro. Non dobbiamo però aspettarci di trovarlo laggiù da qualche parte, come se fosse un fantasma lontano: in questo modo il pensiero si attorciglia su se stesso e non trova nulla. Cade nell’inganno della lingua, che produce senso creando opposizioni. E l’opposto, spiega François Jullien, “non è più l’altro, in quanto non pone di fronte all’incognito”.
L’altro non apparirà in ciò che vediamo come contrario, inerte e immobile davanti a noi. Serve tutta la forza di un pensiero dissidente per aprire un varco in ciò che consideriamo ovvio e familiare. Forse, per liberarci della pretesa ontologica del senso dobbiamo ritornare al vorticoso frammento di Eraclito, vero argine al nostro uso ordinario del linguaggio: “Il divino è giorno notte, inverno estate, sazietà fame”. Il fondamento degli opposti è la loro unità. Con una breccia nella continuità uniforme del giorno, proprio dai momenti più banali può emergere l’inaudito, che nella reciprocità dei contrari ristabilisce la coerenza della vita.
Pensare l’altro: non è questo che può far rivivere la filosofia e, soprattutto, darci accesso all’esistenza?
“Si esiste solo in quanto si può incontrare: se smetto di incontrare, la mia vita si esaurisce.”
Nei gesti quotidiani e nei momenti più comuni è possibile scoprire ciò che pigramente credevamo di conoscere, ma in realtà non potevamo immaginare. L’altro è una vertigine per il pensiero, perché è vicinissimo eppure inafferrabile.
François Jullien è uno dei maggiori filosofi e sinologi viventi. Vive a Parigi e insegna all’Université Paris-VII “Denis Diderot”. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo. Feltrinelli ha …