Vecchio di cent’anni, Eulálio d’Assumpção giace moribondo sul lurido letto di un ospedale pubblico di Rio. In un inarrestabile monologo venato di lirismo amaro, rabbia e rimpianto, ma anche di una irresistibile ironia, racconta alla figlia, all’infermiera che gli inietta la morfina, e a chi vuole ascoltarlo, la sua vita, l’epopea della sua famiglia, sullo sfondo di due secoli di storia brasiliana. Ossessionato dalla figura della moglie Matilde, mulatta sensuale e libertina, e dallo sgretolamento della sua passata grandeur, traccia l’affresco di una saga familiare le cui origini risalgono allo splendore della corte di Rio de Janeiro e arrivano a oggi, seguendo una curva discendente di ineluttabile declino. Nella prosa elegante del più amato poeta-cantautore-scrittore brasiliano, si costruisce il registro démodé di un uomo ostinatamente ancorato a un tempo che non è più, a un Brasile d’antan che sopravvive appena nel fragile territorio dell’illusione.