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“Mentre dovrei gemere per quel che ho commesso, piuttosto sospiro per quel che ho perduto”
Abelardo ed Eloisa sono oramai parte dell’immaginario collettivo. Lei colta e bella fanciulla della Parigi del XII secolo; lui tra i più illustri studiosi della sua epoca. Tra di loro scoppiò un’ardente passione, in cui si sono intrecciate ragione e religione, amore e filosofia. Pietro Abelardo, chierico e brillante insegnante di teologia, quando conosce Eloisa ha trentasette anni, mentre lei, che all’epoca aveva sedici anni, nipote prediletta di Fulberto, canonico di Notre-Dame, studia in convento, s’impegna nelle arti liberali (dalla grammatica alla retorica, fino alla geometria e all’astronomia) e padroneggia latino, greco ed ebraico. Il celebre Abate di Cluny, la più grande e importante abbazia d’Europa, scrive di lei che, ancora studentessa, era “celebre per erudizione”. Per avvicinare la ragazza, Abelardo fa in modo di farsi ospitare in casa da Fulberto, il quale, senza sospettare nulla delle reali intenzioni dell’uomo, gli affida proprio il perfezionamento dell’istruzione della nipote. Dopo poco tempo, Eloisa resta incinta. Non a molto varrà il matrimonio riparatore, tenutosi in gran segreto, per evitare di rovinare la carriera teologica e di insegnante dello stesso Abelardo. Lo zio della ragazza a quel punto macchinerà un’atroce vendetta nei confronti del filosofo. Questo epistolario, un grande classico non solo della letteratura medievale ma della filosofia in generale, ci rimanda a sentimenti, atmosfere e speranze alla fine non così lontani dalla nostra sensibilità, restituendoci così un grande libro sulla forza dell’amore.