Il ritorno di Lorenzo Marone
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere...
“Il solo dolore del proprio cuore lo uccide coi suoi tormenti prima di qualsivoglia punizione”
Condannato a quattro anni di deportazione seguiti da sei di confino, nella colonia penale Dostoevskij si ritrova a toccare con mano il male, non soltanto nella sua forma metafisica, ma nella sua espressione concretamente brutale; e soprattutto la presenza di un abisso incolmabile tra sé, intellettuale nobile, e i detenuti comuni, il popolo. Pur privato dei suoi diritti di nobile, pur sottoposto alle stesse regole e vessazioni, l’autore non fu mai riconosciuto compagno dei suoi compagni, non fu mai alla pari con loro – si trovò sempre di fronte alla stessa solitudine che avrebbe accompagnato il Raskol’nikov di Delitto e castigo nella prima fase della sua permanenza nella colonia penale. E tuttavia, acquisendo la consapevolezza della propria diversità, Dostoevskij diviene anche consapevole di una nuova forma di conoscenza. “Di sicuro per me non è stato tempo perduto,” scriverà al termine della condanna. “Se anche non ho conosciuto la Russia, certo il popolo russo l’ho conosciuto bene, come pochi credo lo conoscano.” Molti dei protagonisti delle sue opere future hanno un loro prototipo negli individui incontrati durante la permanenza nella colonia penale. Memorie da una casa di morti è il grande racconto dell’esperienza carceraria di Dostoevskij in Siberia. Un’esperienza decisiva nella sua maturazione letteraria. Un libro unico.
Fëdor Dostoevskij (Mosca, 1821 - San Pietroburgo, 1881) è uno dei cardini della letteratura e del pensiero ottocenteschi, portavoce di uno scavo psicologico lucido e infuocato che ha contagiato profondamente …