Il ritorno di Lorenzo Marone
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere...
Intorno alla metà del diciannovesimo secolo, un visionario trapiantato a Parigi, Ben Jehudah, immaginò di riportare in vita l’ebraico, lingua che non veniva più parlata da oltre duemilacinquecento anni: un’impresa, come è raccontato in questo libro, cui Jehudah dedicò l’esistenza e che si intrecciò con la storia del nascente stato di Israele. Al di là della sua straordinarietà, la rinascita dell’ebraico è l’epitome del profondo legame che una lingua intrattiene con la cultura di cui è espressione. Quando parliamo di lingue parliamo infatti di culture, di modi di organizzare il mondo, di valori e di idee. Che le lingue nel tempo si trasformino o scompaiano è noto. Meno noto è che questo fenomeno abbia oggi assunto dimensioni così vaste da far prevedere l’estinzione di metà delle lingue esistenti nell’arco di un centinaio d’anni. Arriveremo a una lingua unica? È auspicabile questa ipotesi? Oppure l’omologazione culturale che ciò sottintende è tutt’altro che tranquillizzante? È possibile fare qualcosa per arrestare questa tendenza? Questo libro, scritto da uno dei più noti linguisti francesi, è un grande affresco della ricchezza racchiusa nella diversità linguistica e una
sua difesa appassionata.
Claude Hagège (Cartagine, 1936) è un linguista francese nato in Tunisia. Allievo della École normale supérieure, è stato professore di Linguistica al Collège de France dal 1988, con specializzazioni che …