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Intorno alla metà del diciannovesimo secolo, un visionario trapiantato a Parigi, Ben Jehudah, immaginò di riportare in vita l’ebraico, lingua che non veniva più parlata da oltre duemilacinquecento anni: un’impresa, come è raccontato in questo libro, cui Jehudah dedicò l’esistenza e che si intrecciò con la storia del nascente stato di Israele. Al di là della sua straordinarietà, la rinascita dell’ebraico è l’epitome del profondo legame che una lingua intrattiene con la cultura di cui è espressione. Quando parliamo di lingue parliamo infatti di culture, di modi di organizzare il mondo, di valori e di idee. Che le lingue nel tempo si trasformino o scompaiano è noto. Meno noto è che questo fenomeno abbia oggi assunto dimensioni così vaste da far prevedere l’estinzione di metà delle lingue esistenti nell’arco di un centinaio d’anni. Arriveremo a una lingua unica? È auspicabile questa ipotesi? Oppure l’omologazione culturale che ciò sottintende è tutt’altro che tranquillizzante? È possibile fare qualcosa per arrestare questa tendenza? Questo libro, scritto da uno dei più noti linguisti francesi, è un grande affresco della ricchezza racchiusa nella diversità linguistica e una
sua difesa appassionata.
Claude Hagège (Cartagine, 1936) è un linguista francese nato in Tunisia. Allievo della École normale supérieure, è stato professore di Linguistica al Collège de France dal 1988, con specializzazioni che …