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Scritto nel 1937, a trasparente contenuto autobiografico, "Odile" è una straordinaria, vivacissima presa in giro del gruppo surrealista e del suo capo, e insieme una risposta alla "Nadja" di Breton e alla sua visione irrazionalistica e romantica della femminilità. Il ritratto feroce di Breton (riconoscibile nel personaggio di Anglarès) e dei suoi accoliti trova posto tra le pagine più impietose e godibili, spiritose e rivelatrici che siano state scritte sull'avventura intellettuale e umana delle avanguardie 'storiche'. La satira si accompagna però al distacco ironico: qui, come in tutta la sua opera, Queneau guarda dibattersi, nelle pieghe dell'immobile quotidianità o della Storia, personaggi mediocri e patetici tra i quali, in definitiva, sembra collocare anche se stesso. Apparentemente sullo sfondo, in realtà perno del romanzo, Odile è la donna che mette a confronto Travy (il personaggio in cui si può riconoscere Queneau) con la sua indifferenza, con la sua non scelta, con la sua paura dei sentimenti. Nella borghese Odile, che si lascia vivere come Travy, ci sono tuttavia una saldezza e una concretezza morale, un'autenticità che la rendono viva e positiva. E' attraverso lei che Travy si definisce infine rispetto all'altro, persona e umanità, dopo aver scoperto quanto la sua posizione sia fatta di orgoglio e di isolamento, quanto deviante sia per la sua ricerca la vaga fascinazione surrealista.
Raymond Queneau, nato a Le Havre nel 1903, morto a Parigi nel 1976, ha partecipato attivamente al movimento surrealista ed è stato uno dei fondatori dell’Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle), …