Il ritorno di Lorenzo Marone
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere...
Bremser, Corso, Creeley, Di Prima, Dorn, Duncan, Ferlinghetti, Ginsberg, Jones, Kaufman, Kelly, Kerouac, Koch, Lamantia, Levertov, Loewinsohn, McClure, Mailer, O’hara, Olson, Oppenheimer, Orlovsky, Sanders, Snyder, Sorrells, Welch, Whalen, Wieners, Williams.
Quando questa antologia uscì, nel 1964, gli “ultimi americani” del titolo erano davvero le voci più recenti di una poesia che cantava le ragioni della pace contro le minacce del conflitto nucleare, della libertà contro la tecnocrazia e la manipolazione del pensiero da parte dei mass media, l’urgenza di una nuova morale. Il volume di Fernanda Pivano è diventato un classico e i poeti della cosiddetta beat generation continuano a rappresentare l’“ultimo” vero grande “movimento” letterario che ha prodotto la cultura americana, l’ultima espressione collettiva di un orientamento esistenziale e poetico che si è tradotto anche in gesto politico e in modalità di comportamento. Sono passati quarant’anni e Kerouac, Ginsberg, Corso – tutta la grande tribù di poeti e mistici che ha vagato fra Oriente e Occidente costituendosi come una “società dentro la società” – sono sempre gli irrinunciabili battistrada dello scontento e della rabbia, e della poesia come premessa e promessa di liberazione.