Il ritorno di Lorenzo Marone
Brontolone, cinico, pigro, bugiardo: è così che si potrebbe descrivere Cesare Annunziata. Come quella volta in cui, per attaccare bottone con la sua futura moglie, si era inventato di possedere...
“Che la verità si sia fatta leggenda, di assolutamente vero restano i tuoi versi” Fabrizio De André
“Caro François, nel 1963 mi capitò di leggere su un quotidiano che in Sud Africa le autorità celebravano senza saperlo il cinquecentesimo anniversario della tua scomparsa...“ Così principia la lettera-prefazione di Fabrizio De André, una missiva lanciata attraverso i secoli e capace di evocare la voce e i tratti di François Villon, il “cattivo soggetto”, il “ribelle”. Da Bertolt Brecht a Georges Brassens, non c’è stato poeta che non abbia sentito la “musica” dei suoi lais, delle sue ballate e non abbia cantato a sua volta il vino, le taverne e la maledizione della giovinezza perduta, le ragazze di piacere, i balordi e la ribellione alla morale comune. Al di là dell’orizzonte leggendario in cui l’uomo Villon è incorniciato, la sua poesia resiste implacabile al tempo, limpida, mordace, dolcissima, e le sue neiges d’antan, le sue “nevi dell’altr’anno”, continuano a incarnare l’immagine irriducibile della malinconia che accarezza tutte le umane avventure.