Una storia della lettura non è ‟la storia” della lettura, ma è, appunto, ‟una storia” della lettura – soggettiva, unica, parziale, passionale, intima. Con rigore e con una leggerezza che è sempre affabilità, Manguel parte da annotazioni personali, passi autobiografici, aneddoti che dissacrano la letteratura in quanto scienza e arriva a celebrare la superiorità della lettura e, soprattutto, dei lettori. A questo scopo chiama in causa Plinio, Dante, Cervantes, sant’Agostino, Colette e l’amatissimo Borges, di cui in gioventù è stato fedele lettore ad alta voce. Manguel parla della forma del libro, dei libri proibiti, del valore delle prime pagine, di cosa vuol dire leggere in pubblico e, al contrario, dentro la propria testa, e ancora, del potere del lettore, della sua capacità di trasformare e dar vita al libro, quanto e forse più dell’autore stesso, della follia dei librai e del fuoco sacro che divora ogni vero appassionato di storie. E lo fa attingendo a immagini della sua infanzia a Buenos Aires, quando passava ore e ore nella libreria vicino a casa, o sotto le coperte, eccitato e rapito da quel tempo segreto rubato alla notte e consegnato all’immaginazione.