Uno, nessuno e centomila (1926) fu definito da Pirandello "romanzo testamentario". Si tratta infatti del suo ultimo romanzo e segna il culmine della riflessione sulla disgregazione del soggetto iniziata con Il fu Mattia Pascal (1904). Attraverso la tragedia di Vitangelo Moscarda – che scopre di essere estraneo a se stesso, "costruito" dagli altri a modo loro, molteplice quante sono le situazioni in cui si trova – Pirandello costruisce una delle rappresentazioni più efficaci dell'assurdità dell'uomo moderno, e delinea la sua filosofia. Alla base della sua visione del mondo, come mostra il filosofo Remo Bodei, c'è la sfiducia che l'uomo possa accrescere la sua coscienza in modo positivo attraverso la messa in luce e il superamento delle contraddizioni.
"Leggere o rileggere Pirandello non offre indubbiamente alcuna soluzione diretta alle nostre domande. È anzi probabile che ne moltiplichi il numero. Ma anche per questo i classici sono tali: dislocando e articolando i nostri pensieri e i nostri sentimenti, ci aiutano ad aprire meglio il ventaglio dei possibili e a immaginare allegoricamente quali percorsi verso la realtà essi potrebbero prendere senza esaurirsi in essa."
(dall'Introduzione di Remo Bodei)