Ci lasciava trent’anni fa Charles Bukowski, scrittore controverso spesso considerato fra i capostipiti del realismo sporco, (dall'inglese dirty realism), genere letterario sorto negli Stati Uniti negli anni Settanta-Ottanta e caratterizzato da uno scarno minimalismo che non risparmia però al lettore i dettagli più triviali e sordidi della realtà. Autore controverso ma sempre sincero nel raccontare fantasie ed esperienze al limite della legalità con cui si divertiva a scandalizzare la società più perbenista, Bukowski ha saputo lasciare un’impronta indelebile sulla storia della letteratura, entrando nella cultura di massa come emblema dello scrittore ribelle e anticonformista.
La potenza dell'opera di Charles Bukowski risiede anche nella sua capacità di rappresentare il fallimento e il disincanto del sogno americano, come emerge chiaramente in Compagno di sbronze, in cui la vena satirico-umoristica dell’autore assume coloriture selvagge, talvolta feroci. “Avevamo la sensazione che la vita sarebbe stata una gran cosa” scrive Bukowski, per poi però descrivere l’alienante paesaggio di città senz’anima, capaci di farti “passare accanto a duecento persone senza riuscire a vedere un solo essere umano”.
Attraverso la sua narrazione cruda e senza compromessi, lo scrittore denuncia le ipocrisie e le contraddizioni della società, trasformandosi in un antieroe ribelle e contrario a ogni convenzione sociale.
“Essere pagato per scrivere è come andare a letto con una bella donna e dopo mi dà un rotolo di banconote”, era solito ripetere l’autore, che nei propri racconti non lesina nel raccontare l’aspetto più torrido e sordido delle relazioni umane, le stesse che intrecciava anche nella sua vita privata. Una vita segnata da eccessi e disillusione che gli lasciò dentro una profonda solitudine che si riflette nelle sue opere, soprattutto in quello che è considerato il suo testamento spirituale, Storie di ordinaria follia, opera in cui Bukowski si mette a nudo offrendo un ritratto sincero e spietato della condizione umana. Quando scrive questi racconti l’autore ha cinquant’anni, le tasche vuote e lo stomaco devastato. Soffre di insonnia, è malato di ludopatia (non fa altro che tentare racimolare qualche vincita alle corse dei cavalli) e si autodefinisce “forse un genio, forse un barbone”.
Il senso di leggere ancora oggi Charles Bukowski risiede forse proprio qui, nella sua autenticità e nella sua profonda vulnerabilità, caratteristiche capaci di rendere le sue opere così intense e universalmente riconoscibili sia quando si tratta di romanzi di fiction (seppur ispirati a situazioni realmente avvenute) sia quando si parla delle interviste rilasciate dall’autore. Come quelle al centro di Il sole bacia i belli, che si apre con la primissima chiacchierata che Bukowski fece nel 1963 con un reporter del Literary Times di Chicago, venuto a controllare che il poeta underground esistesse davvero e non fosse, come sosteneva una leggenda metropolitana, “una vecchia scorbutica dall’ascella cespugliosa”. Chiude la raccolta l’ultima intervista, concessa a bordo piscina nella sua villa di San Pedro pochi mesi prima di morire, pezzo in cui Bukowski tira le fila e riflette su un’esistenza segnata da successi e sconfitte.
La produzione letteraria di Bukowski è pervasa da una schietta sincerità e un coraggio disarmante nell’ammettere difetti ed errori, colpe e idiosincrasie (due su tutte: amava i gatti e odiava Mickey Mouse, “un figlio di puttana senz’anima e dotato di sole tre dita”). La sua prosa tagliente e diretta cattura l'essenza stessa della vita quotidiana senza filtri né retorica, ma lo stesso emerge anche nelle sue poesie, raccolte in Quando eravamo giovani, versi che portano con sé il sapore di episodi di vita sbalzati via dalla realtà come schegge.
Da dove cominciare quindi a leggere Bukowski? Difficile dare una risposta univoca, se si considera che l’opera di Bukowski è per sua natura la sfaccettata incarnazione di una poetica di disincanto e franchezza, decisa a smascherare l’ipocrisia della società perbenista.
Tra i migliori racconti, quelli che compongono Musica per organi caldi, i cui protagonisti diventano tanto più straordinari quanto più si muovono nelle dimensioni di una ostentata banalità. Più ironico – seppur sempre cinico e disincantato – il romanzo Pulp, storia di un detective sommerso dai debiti che si lascia andare a considerazioni esistenziali.
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