Un testo di Piergiorgio Pulixi, un maestro del noir, su un altro maestro del noir. Esclusivo per il sito Feltrinelli editore. “William McIlvanney è un autore che ha profondamente influenzato il mio lavoro e più in generale la mia visione della letteratura come arma di resistenza sociale."

Tutto quello che abbiamo siamo noi e gli altri, e se siamo orfani possiamo solo adottarci a vicenda, e sfidare la mancanza di senso delle nostre vite preoccupandoci gli uni degli altri. È l’unica nobiltà che abbiamo.  - William McIlvanney

Forse il talento più grande che uno scrittore possa avere è quello di trasformare i propri personaggi in persone. Persone vere. Palpitanti. Di cui riesci a cogliere l’umanità dolente, il calore del respiro, la presenza fisica. Di cui senti ardere i sogni e di cui avverti lo sfibrarsi delle speranze.

Sono pochissimi gli autori benedetti da questo dono. William McIlvanney dipingeva con le parole quadri esistenzialisti di rara poesia. Era capace di instillare tanta umanità nei suoi personaggi – e con così tanta sensibilità letteraria – che a volte sei costretto a fermarti e a rileggere alcuni passaggi, che vanno sorseggiati come un buon whisky, scozzese, ça va sans dire. Frasi di un lirismo commovente, capaci di eternare scene, momenti di intimità, di solitudine o di passione.

“The Telegraph” l’ha annoverato tra i cinquanta autori di polizieschi da leggere prima di morire. Non è un caso. Perché McIlvanney trascende il genere. Con la sua distintiva scrittura raffinata e la profonda analisi filosofica e sociologica abbatte qualsiasi pregiudizio intorno alla letteratura poliziesca.

La serie di Laidlaw ha elevato il genere, nobilitandolo. Ha mostrato quanto può essere acuto lo sguardo di un autore di noir. Sono pochissimi gli autori che hanno segnato in modo così profondo questo filone. Raymond Chandler, Jean-Claude Izzo, David Goodis, James Lee Burke… Poeti metropolitani dalle mani sporche di realtà. Con negli occhi quella malinconia propria di chi ha capito che la verità non libera gli uomini, ma li incatena alle proprie responsabilità. E basta leggere uno qualsiasi dei romanzi di McIlvanney per comprendere quanto quelle catene siano impossibili da spezzare. E che l’unico modo per andare avanti è issarsi quelle catene sulle spalle e procedere a testa alta e a denti stretti in quella via crucis che è la vita. Con sulle labbra i salmi laici della strada, e nelle tasche un rosario fatto di sogni spezzati e promesse tradite. La religione del noir: quella dei perdenti, degli ultimi, che nonostante tutto si rialzano sempre. Proprio come ci hanno mostrato Jack Laidlaw e il suo creatore.

In Italia trovate la trilogia di Laidlaw pubblicata da Giangiacomo Feltrinelli Editore

Come cerchi nell'acqua (1977), Il caso Tony Veitch (1983) e il più amaro, poetico e forse anche il migliore Strane lealtà (1991).

Oscuri resti (Feltrinelli, 2022) è un romanzo a doppia firma: William McIlvanney e Ian Rankin. Quest’ultima storia è per gli amanti del noir e del poliziesco una gemma da avere a tutti i costi nella propria collezione. Ian Rankin, il “papà” di John Rebus, che ha sempre lodato pubblicamente McIlvanney considerandolo il suo maestro e il vero padre del “tartan noir”, ha infatti portato a conclusione una parte di un romanzo di Laidlaw che McIlvanney aveva iniziato, ma non era riuscito a terminare. In questa storia, Rankin riporta in vita Laidlaw, regalando ai lettori un’ultima avventura del poliziotto-filosofo, e lo fa omaggiando lo stile lirico e intimista del suo maestro ispiratore.

William McIlvanney è un autore che ha profondamente influenzato il mio lavoro e più in generale la mia visione della letteratura come arma di resistenza sociale.

Se siete amanti della buona scrittura e della narrativa poliziesca di qualità, questo è un autore da scoprire o riscoprire, e da porre sullo scaffale dedicato ai grandi veri, quelli con la G maiuscola.

Piergiorgio Pulixi

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