Ci ricordiamo i Malavoglia? Agli inizi del romanzo italiano moderno e della rappresentazione romanzesca del vero, Verga racconta l’Italia (che si era unita da vent’anni giusti) come il Paese dello strappo, della partenza, come il fiore delle nostre illusioni, che potevano più facilmente diventare sogni da un’altra parte. Partire o restare?, si chiedeva il giovane ‘Ntoni, che al principio della modernità industriale sentiva covare dentro di sé un desiderio mai provato prima, né dal padre né di certo dal nonno padron ‘Ntoni, che mai si erano sognati potesse esistere qualcosa come la realizzazione personale, e soprattutto che potesse avvenire da un’altra parte – e quale? Il desiderio, che si manifesta in ‘Ntoni con la potenza di una brama infuocata di cambiamento, era quello di migliorare la propria vita, di strapparla ai binari che le generazioni passate avevano calcato con cieca e fatalistica rassegnazione, abbandonandosi alla benevolenza e alla violenza del mare e del clima, che davano e toglievano a loro piacimento, lasciando all’uomo solo la fede e la speranza.
Che cos’è questa tremenda sensazione di mancanza che ‘Ntoni sente nelle viscere e che lo spinge ad abbandonare i suoi cari? Cosa questa brama di nuovo, questa nostalgia per qualcosa di più che non ha mai avuto?
I Malavoglia, tra i primi nella letteratura italiana, mostra che i cambiamenti corrono su una terribile decisione che sta tutta nelle nostre gambe: parto o resto? Metto in gioco ciò che ho, assecondando il desiderio di qualcosa di più grande (che potrebbe però condurmi alla rovina), o mi levo i grilli dalla testa (il miglioramento, il progresso) e mi prendo cura di quello che c’è, che è stato tutto fino a poco tempo fa (la mia famiglia, la mia lingua, i miei amici), tradendo però quella brama infuocata che covo nel cuore?
Questo è il dubbio del giovane ‘Ntoni, ferito dalla morte dei cari, dai colpi della natura e dalla cattiveria dei paesani. Ma non è forse questo il dilemma in cui la vita di ogni italiano nato almeno negli ultimi quarant’anni, continuamente e ancora, si trova? Se parto abbandono, ma spicco un volo. Se resto appartengo al mio mondo, ma tradisco il bisogno di cercare la mia strada, dato che il mio Paese sempre più difficilmente mi concede di diventare chi nel profondo sento/credo di essere.
La scelta è terribile, difficilissima. Faccio molti incontri nelle scuole in cui vengono letti i miei romanzi, e me ne rendo conto: c’è sempre qualche ragazzo di quinta superiore (non più solo al Sud ormai, anche al Centro e al Nord) che a un certo punto alza la mano per chiedermi cosa deve fare, partire o restare? Centoquarant’anni dopo Verga, nel 2024, niente è cambiato.
Lo fotografa anche l’ultimo rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes: dal 2006 a oggi il numero di italiani emigrati all’estero è raddoppiato. Sono sei milioni e centomila gli italiani iscritti all’Aire. Per un’approssimazione realistica di quanti in realtà abbiano scelto di realizzare i propri sogni in un altro paese possiamo almeno raddoppiare quel numero, portandolo a dodici milioni: significa che in Italia non saremmo cinquantotto milioni ma settanta, e dodici vivono in un altro Paese.
Alla fine il giovane ‘Ntoni parte. E I Malavoglia mostra il lato terribile del desiderio, che non è solo grande e importante ma è anche pericoloso, ci dice Verga. Perché cercare la libertà significa mettere in gioco tutto, col rischio di perderlo. Non si dà progresso senza essere disposti a una rivoluzione personale, senza superare delle prove. Non siamo noi a misurare i nostri desideri, ci raccontano le vicende dei Malavoglia: sono i nostri desideri a misurare noi, a controllare che siamo alla loro altezza. E ‘Ntoni non è ancora pronto per andare a fare fortuna. Non è preparato, non ha un piano preciso. L’unica cosa che ha è questa voglia di spaccare il mondo, questa brama di libertà. Così tutti, in paese, prima lo criticano (a cominciare dai suoi familiari), poi si convincono che ce l’abbia fatta, che sia diventato ricco come quelli che ammirava. Ma ‘Ntoni un giorno torna ed è più povero di quando è partito. Il suo sogno lo ha messo alla prova, e lui ha fallito. E quando torna tutto è cambiato, nessuno lo riconosce, non suo fratello e neppure il suo cane. Ulisse, dopo dieci anni di peregrinazione, quando ritorna a Itaca viene riconosciuto dal suo cane; ‘Ntoni no.
I sogni ci deformano. Ma, dice Verga, un sogno si misura dalla quantità di sconfitte: più numerose saranno, più grande sarà il sogno che resiste. ‘Ntoni, infatti, raccoglierà tutto il coraggio e deciderà di ripartire. Di nuovo, nonostante la sconfitta. E allora possiamo immaginare il suo secondo ritorno a casa, sicuri che questa volta ce l’abbia fatta. Lo vediamo tornare rinnovato, vincitore. Lo vediamo trasformare, con gli occhi nuovi che adesso possiede, ciò che da sempre è rimasto uguale. Allora possiamo immaginare il sorriso fiero sul volto del nonno che, finalmente in pace, può accettare che il mondo è cambiato. Che il fiore delle illusioni, che il nostro Paese è, finalmente si rassegni al fatto che è soltanto da quel seme, da quello delle illusioni, che può nascere il frutto di una nuova realtà, viva, inedita, tutta ancora da fare.
Giuseppe Catozzella
Il fiore delle illusioni di Giuseppe Catozzella
È possibile inseguire il proprio sogno senza perdere la parte più autentica di sé stessi? Sfuggire a un destino già scritto senza che questo finisca per bruciarci?Francesco cresce nella periferia di Milano, figlio di meridionali e con il sogno di scrivere: un ragazzo ai mar…
Giuseppe Catozzella
Giuseppe Catozzella ha pubblicato il libro in versi La scimmia scrive e i romanzi Espianti (Transeuropa, 2008), Alveare (Rizzoli, 2011; Feltrinelli, 2014), da cui sono stati tratti molti spettacoli teatrali …