Dal ponte di Mare Jonio, la viva voce di Luca Casarini racconta l’avventura di una nave e del suo equipaggio. I suoni del mare, i naufragi, i salvataggi, ma anche i valori e i principi che stanno dietro alla decisione di imbarcarsi per cambiare il finale di migliaia di destini segnati.
URGENZE
A volte mi chiedo: qual è la cosa più urgente, la prima cosa che ci viene in mente pensando alle urgenze?
Probabilmente è salvare la propria vita. Anche quando facciamo i corsi relativi al soccorso di massa in mare, il primo comandamento è: proteggere la propria vita, perché se la perdi non puoi più aiutare nessuno.
L’ho sperimentato in prima persona, che in questo mondo salvare la propria vita significa salvare la vita di qualcun altro. In questo senso è interessante la reciprocità: noi esistiamo in quanto relazione con qualcun altro. Oltre che una relazione, si tratta di una tensione, di una immedesimazione nell’altro. Questo può accadere in ogni piccolo gesto che noi facciamo nella nostra vita quotidiana, un gesto che ci fa interrompere la routine facendoci avventurare in un'altra realtà, in un altro mondo possibile.
Qualcuno dice: Chi salva una vita salva il mondo intero. Ed è così.
Uno degli slogan che abbiamo usato sulla nave Mediterranea sin dall’inizio era “noi li soccorriamo loro ci salvano” proprio per spiegare questa relazione, una relazione orizzontale tra persone che hanno bisogno entrambe di essere salvate. Noi dobbiamo essere salvati da una vita vuota, da una vita che non ha senso, dal fatto che non sappiamo come salvarci. Loro devono essere salvati dalla morte, cioè dal fatto che la loro vita è stata ridotta in un confine in cui l’alternativa è la morte.
SUONI SUL MARE
I suoni sono una parte importante. La calma, il silenzio che è spezzato solo dal rumore del mare e del motore della nave finché navighi. Poi il trambusto, quando iniziano le operazioni di soccorso e inizia un altro tipo di rumori. Le gru che calano in acqua i RHIB, le radio che parlano di avvistamenti e delle condizioni delle persone. Se sei capo missione ti arriva proprio l'immagine tramite la radio del primo soccorritore, cioè colui che per primo dà le informazioni su come stanno le persone che stai per salvare. Il RIB che arriva sulla parte destra della nave, dove c'è la Rescue zone, i paranchi per sollevare le persone ferite. Sulla nave ferma, il trambusto è fatto di voci, di persone che pregano, che ridono, che piangono. Bambini. Sono suoni che si ripetono ogni volta finché non torna la calma e torna il motore. Il motore che va verso casa.
E poi i suoni del mare, quelli che sentiamo in mare aperto di notte o di giorno, da soli o in un equipaggio, mi hanno fatto comprendere il rapporto tra individuo e collettività.
In mare tu sei sempre dentro una comunità, un gruppo ristretto a cui affidi la tua vita, ma dall'altra parte non puoi esimerti da un rapporto anche individuale con il mare. Tu lo guardi, ma non hai le stesse paure, emozioni, sensazioni che può avere un’altra persona.
Nella comunità che si forma a bordo di una nave che sta via per lunghi mesi, i rumori hanno una centralità enorme, perché sei sempre alla ricerca di un segno, di una mappa per costruire le tue sicurezze. I rumori della navigazione, del motore, ma anche i rumori dell'attivazione operativa nel momento in cui sei all'inizio di un di un processo di soccorso in mare, sono tutti dei segni per una mappa. Ti danno dei punti di riferimento e man mano che impari a conoscerli, capisci per esempio quando borbotta troppo in maniera strana che c'è qualcosa che non va e familiarizzi a tal punto che è come se le cose che ti parlassero.
UN RACCONTO CHE MI HA SEGNATO
Me lo ha fatto un ragazzo del Sudan, credo non avesse più di 14 anni. Era un momento di stallo sulla nave, in quel preciso momento poteva capitare che restassimo molti giorni in stand off fuori dalle acque territoriali aspettando l'assegnazione di un porto sicuro. Da un lato ovviamente si trattava di una cosa terribile perché è incredibile che dei naufraghi debbano stare tanti giorni in mezzo al mare senza ricevere soccorso, praticamente sotto sequestro. Ma il lato positivo era che consentiva di conoscere meglio le persone.
Ad esempio, avevamo deciso che – in quelle situazioni - non avremmo più mangiato all’interno della nostra saletta, ma che avremmo condiviso colazione pranzo e cena con le persone soccorse. E avevamo anche deciso che avremmo condiviso lo stesso cibo, couscous, legumi verdure eccetera. Addirittura, in un'occasione hanno cucinato per noi alcune signore del Gambia, fuggite dalla Libia e salvate insieme ad altri naufraghi. In una di queste occasioni di condivisione, mi è arrivato addosso il racconto di questo ragazzo, un ragazzo che stava sempre in silenzio, un po’ da parte, si è messo a raccontare, in un inglese che somiglia un po’ al mio e quindi forse per questo ci siamo capiti... Un racconto che non mi riesco a togliere più di dosso.
Era successo nel lager libico di Ain Zara. Lì i carcerieri lo avevano costretto, pistola alla tempia, a fare un video in cui prendeva a bastonate suo fratello di 11 anni. I miliziani avevano poi usato il video per costringere sua madre a inviare i soldi del riscatto. Raccontando questa storia il ragazzo piangeva, si capiva che era spezzato dentro, anche perché poi suo fratello era rimasto in Libia.
Questi sono i racconti che ti porti dentro, quelli che fanno più male di una coltellata al cuore. Questa è la vita che incontriamo in mare.
LA PRIMA VOLTA
Durante gli anni di lotta che ho attraversato, all’interno dei movimenti contro la globalizzazione neoliberista che hanno avuto a Genova il loro apice, ho sempre pensato di lottare per qualcun altro, cioè per restituire un po’ dei nostri “privilegi” di giustizia e democrazia a chi, nel resto del mondo, non li aveva. Ma in quegli anni non mi era mai capitato di vivere un'esperienza in cui la lotta coincidesse esattamente col momento di superamento della morte. Non mi era mai capitato di partecipare a un momento di lotta capace di produrre direttamente vita. Questa cosa mi ha sconvolto, perché ho capito la differenza tra avere un ideale, che comunque ti porta un po’ a giustificare le tue azioni, e vivere un ideale.
Quando sei in mezzo al mare e abbracci una persona che sta per affondare, in quell'abbraccio c'è la sconfitta della morte. Questo fatto sconvolgente l'ho capito la prima volta sulla nave Mediterranea, nel 2019.
Era tutta la notte che giravamo sulla base di una segnalazione molto confusa e non ufficiale. Quella volta qualcosa ci ha detto che dovevamo continuare a battere la nostra rotta verso est, quindi siamo andati avanti tutta di notte, a 10 nodi, come se stessimo cercando qualcosa.
Verso l'alba, ormai nessuno di noi pensava più che sarebbe successo, invece sul radar è apparso un puntino, non un punto fisso… eravamo circa a 10 miglia. Ci siamo messi fuori, era ancora buio, e abbiamo cercato di vedere qualcosa col binocolo. Vale sempre la pena cercare con il binocolo, perché anche se non hai gli infrarossi basta un accendino acceso, la luce di un telefonino, il riflesso della luna che batte magari su un pezzo di lamiera, per ricevere un segnale. Ci siamo messi fuori a guardare e a un certo punto si alza il giorno proprio come un sipario. Ho questa immagine in cui vedo distintamente davanti alla prua della nave un puntino che si allarga man mano che noi ci avviciniamo, diventa un piccolo segmento e cominciamo a vedere: sono persone. 98 esseri umani in mezzo al mare, nel nulla più assoluto. Intorno a loro a 360° niente di niente, per decine e centinaia di miglia. 98 esseri umani di cui 22 bambini, si muovevano, muovevano la testa tutti insieme perché in realtà stavano pregando e aspettando la morte.
Abbracciarli è stata la cosa più bella della mia vita. Una cosa enorme.
IL PAPA
L’incontro con Papa Francesco è stata davvero una cosa incredibile, una specie di finestra che si è aperta su un altro mondo, un dono che ci è stato dato per entrare in relazione con “un mondo che contiene molti mondi” come diceva Marcos. Papa Francesco è così come lo vedi.
Dopo ormai più di 10 anni di pontificato lo si conosce. La straordinarietà di questo papato, da Laudato si’ fino a Fratelli tutti, è di riuscire a parlare di un mondo diverso utilizzando un linguaggio che non è gradito al potere. E il fatto che Papa Francesco si sia accorto di noi è stato come aver messo l'azoto liquido al posto del gasolio nel motore della nave: siamo partiti a razzo, ci ha dato una forza pazzesca.
A me personalmente ha cambiato la vita, aprendomi la possibilità di avere un'interazione straordinaria con una dimensione spirituale ma anche politica e sociale assolutamente non prevista e non autorizzata. Si è trattato proprio di un corto circuito: l’immagine che io sia un amico del papa è una è una delle cose che fa impazzire il potere, perché con noi si presentano insieme il “peggiore” con il “migliore”.
Questo ha rappresentato per me un modo nuovo e di vedere le cose, mi sono riavvicinato alla Chiesa, ho partecipato al Sinodo, mi sono confrontato con una realtà mondiale universale, ho parlato con persone che arrivavano dalla Patagonia, dal Sudafrica, dalla Mongolia, dal Vietnam.
E Papa Francesco è proprio così: davvero umano, davvero preoccupato, davvero felice quando ha potuto abbracciare un migrante che è riuscito a salvarsi. La sua battaglia contro il clericalismo come perversione è una battaglia che resterà nella storia.
La cospirazione del bene di Luca Casarini
Cosa succede se la politica specula sulla cosiddetta “emergenza immigrazione”? Se l’antica legge del mare – le vite si salvano, e poi si discute –, recepita dalle convenzioni internazionali, viene messa in discussione da leggi interne spesso ispirate a principi disuman…
Luca Casarini
Luca Casarini, nato a Mestre, attivista, è stato uno dei più noti leader del movimento di critica della globalizzazione neoliberista. Ha pubblicato il romanzo La parte della fortuna (Mondadori, 2008) e Genova dentro (Editori …